La sofferenza animale

Molti vegetariani si pongono soprattutto l’obiettivo etico di evitare che la nostra vita comporti la morte di altri esseri viventi e senzienti, cioè in grado di soffrire. Le motivazioni etiche e religiose si fondano dunque sui principi della non violenza e della coesistenza pacifica con le altre creature. Il Buddismo, ad esempio, mira ad evitare la sofferenza per tutti gli esseri viventi, compresi gli animali: ne consegue il precetto del vegetarianesimo.

Oggi la carne è prodotta in allevamenti intensivi, dove la logica industriale ha portato a forzare le caratteristiche biologiche degli animali, costretti a nutrirsi non più di ciò che offre il pascolo naturale, ma con mangimi ricchi o di farine animali (che hanno provocato ‘mucca pazza’) o di farine vegetali ad alto contenuto energetico e proteico, ottenute soprattutto da cereali e legumi, spesso transgenici.

Nei moderni sistemi di allevamento gli animali vivono in condizioni tali (sovraffollamento, mancanza di luce solare, impossibilità di manifestare il loro normale comportamento, ecc.) da provocare un diffuso e costante stato di malessere e di vera e propria sofferenza fisica e psichica.

Infatti in questi allevamenti gli animali non possono quasi muoversi, sdraiarsi, svolgere le loro attività naturali e, poiché devono aumentare di peso in poco tempo, sono forzati a mangiare tutto il giorno mangimi contenenti grandi quantità, oltre che di grassi e proteine, anche di farmaci. Quando hanno raggiunto, nel più breve tempo possibile, le condizioni ottimali per essere macellati, sono trasportati in camion o vagoni bui per giorni, senza acqua o cibo, e coloro che si feriscono soffrono a lungo, prima di essere portati via o muoiono senza cure. Rimangono sotto il sole o esposti al freddo, senza acqua e cibo per giorni, spesso bloccati alle frontiere, quasi sempre legati alle sbarre dei camion. Quando giungono ai luoghi di smistamento, ai fori boari molti hanno le zampe spezzate e varie ferite su tutto il corpo. Al macello vengono spinti con pungoli, uccisi senza essere preventivamente storditi, spesso sgozzati vivi, e appesi per essere scuoiati.

Dietro la trasformazione dell’animale in prosciutti, salami e bistecche ci sono sofferenze inaudite: vitellini da latte strappati alle madri, polli e galline ovaiole spennate e con il becco smussato, maiali e cavalli immobilizzati e con luce accesa ventiquattro ore al giorno per l’ingrasso.

Il patè de foie gras viene ottenuto ingozzando fino allo stremo, con l’ausilio di imbuti, le oche per ottenere un fegato rigonfio. La carne di vitello è tenera perché ai vitelli viene impedito di muovere un solo passo ed è bianca perché vengono appositamente alimentati con una dieta, priva di ferro, che provoca l’anemia.

Negli allevamenti in batteria i polli sono in quattro o cinque in circa mezzo metro quadro di spazio disponibile. Siano essi “da carne” o galline ovaiole, l’immobilismo nella gabbia induce al frenetico cibarsi per l’ingrasso e ad un’innaturale produzione di uova. Per non rischiare di danneggiare la “merce”, ai polli viene accorciato il becco con una apposita forbice. Non tutti i pulcini che nascono negli incubatoi dalle uova fecondate sono sani o desiderati. Quelli che non hanno le caratteristiche richieste, come i maschi negli allevamenti di ovaiole, finiscono ancora vivi nel trita gusci. Quando giunge il momento della morte liberatoria, polli e galline vengono appesi per le zampe e inviati con un nastro trasportatore alla ghigliottina.

Ai maiali negli allevamenti intensivi non viene riservato trattamento migliore, dato che il loro spazio è ristretto ad una cella che consente solo il cambiamento della posizione da eretta ad accucciata. L’animale rinchiuso in gabbie singole non può muoversi, grufolare, grattarsi, farsi aiutare nella pulizia dai compagni.

Oltre allo stress dovuto alle innaturali condizioni, gli animali allevati in batteria soffrono di infiammazioni articolari, artrite deformante, affezioni ai muscoli ed alle unghie che non essendo né consumate né tagliate, crescono a dismisura, torcendosi sotto la zampa o rientrando nelle carni.

Se prima di acquistare la carne venisse fatto vedere agli acquirenti come sono stati allevati, trasportati e macellati gli animali, probabilmente i consumi diminuirebbero.

Scegliere di praticare il vegetarianesimo significa, dunque, risparmiare agli animali sofferenze e crudeltà inammissibili e restituire loro la dignità di esseri viventi, non più ridotti in schiavitù, come fossero “macchine produttiveâ€.


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