Scende lenta la sera su questa baia
spazzata dal vento.
Ogni pensiero e desiderio, come le foglie,
dai rami è ripulito,
filtrato, asciugato.
Ogni parola diviene silenzio.
Ogni sibilo e canto si spegne.
Un ultimo gracchiare di corvo
e sul muretto il veloce saltello del pettirosso.
Poi più nulla.
Nasce da dentro l’anelito d’un caldo luogo,
dove trovar riparo da questa solitudine,
da questa rassegnata tristezza
che la sera conduce.
Ascolta più sovente
le cose che i tuoi sogni.
Ascolta la voce dell’acqua
e la voce del fuoco che divampa;
ascolta, ascolta nel vento
i singhiozzi del bosco:
sono il respiro dei morti.
I morti non sono partiti:
son nell’ombra che schiarisce
son nell’ombra che si oscura,
son nell’albero che freme
nel bosco che geme,
nell’acqua che cola,
nell’acqua che dorme,
sono in casa,
Disperditi poesia
in quest’aria di marzo,
dipingiti della trasparenza
di questo cielo,
inebriati del giallo
delle mimose in fiore,
profumati di attesa,
nella freschezza di queste
prime ore …
Nasconditi negli angoli inaspettati
di questa città ,
dove un raggio di sole
illumina l’edera che sale
alla stanza di un’anima segreta,
di un segreto giardino;
raccogli le chiacchiere del primo
mattino,
Vedere oltre
l’occhio della mente,
planare
nell’alba appena nata,
come un bambino
sillabare le prime luci
e uscire dalla notte
per un sogno nuovo.
Vedere oltre
l’occhio della mente
oltre l’attesa
fermi alla stazione
di parole vuote,
come mani
che parlano voltandosi
se qualche nuovo amore
tocca ancora il cuore
Vedere oltre
l’occhio della mente
e paesi nuovi
appaiono dalla collina
sfocando il fiore
in primo piano,
mentre dall’ombra esce
un nuovo sole
Sgorga una riga scritta
di versi senza ragione
che nulla in me medita
ma chi è che me la detta
e ai suoi intenti?
   Vedo dopo averla
   scritta lì nel sonno,
   che ha ragione d’essere,
   che ha cosa dire,
   ch’è giusto ciò che ho scritto.
Tutto arriva da altra parte,
ombre siamo, e andiamo
dietro alla nostra arte
e, estranei, non erriamo.
Certo per me, amico, è tempo
di appendere la cetra
in contemplazione
e Silenzio:
Il cielo è troppo alto
e vasto
perché risuoni di questi
solitari sospiri.
Tempo è di unire le voci,
di fonderle insieme
e lasciare che la grazia canti
e ci salvi la Bellezza,
Come un tempo cantavano le foreste
tra salmo e salmo
dai maestosi cori
e il brillio delle vetrate
e le absidi in fiamme.
“Ho detto più di una volta
che il migliore poeta
è l’uomo che ci dà il pane quotidiano:
il fornaio più vicino che non si sente dio.
Lui compie il suo maestoso e umile lavoro
di impastare, mettere al forno, dorare e consegnare
il pane quotidiano con un obbligo comunitario.
E se il poeta arriva a raggiungere questa semplice coscienza,
la semplice coscienza potrà anche trasformarsi
in una parte di un colossale artigianato,
Una volta un uomo dissotterrò nel proprio campo una statua di marmo di grande bellezza. E la portò da un collezionista amante di tutte le cose belle e gli propose di acquistarla, e il collezionista la comperò in cambio di una lauta ricompensa. E si separarono.
E mentre l’uomo si dirigeva verso casa con il denaro, pensava, e diceva tra sé: “Quanta vita significa questo denaro! Come può qualcuno offrire tutto questo in cambio di una pietra scolpita sepolta e dimenticata sotto terra da mille anni?”.
Leggi tutto >>Bruscamente la sera s’è schiarita
perché cade la pioggia minuziosa.
Cade o cadde. La pioggia è qualche cosa
che senza dubbio avviene nel passato.
Chi l’ascolta cadere ha ritrovato
Il tempo in cui la sorte fortunata
Gli svelò un fiore ch’è chiamato rosa
E il bizzarro colore del granato.
Questa pioggia che adesso acceca i vetri
Rallegrerà nei perduti sobborghi
Le nere uve d’una vite in un
Cortile dileguato.
Allora un contadino disse: – Parlaci del lavoro –
Ed egli rispose dicendo:
Voi lavorate per tenere il passo con la terra e con l’anima della terra.
Poiché oziare è diventare stranieri nelle stagioni e uscire dal corso della vita, che marcia solenne e con orgogliosa sottomissione verso l’infinito.
Quando lavorate siete un flauto che nel suo cuore trasforma in musica il ticchettio delle ore.
Fra voi chi mai vorrebbe essere una canna,
Qui giace come virgola antiquata
l’autrice di qualche poesia. La terra l’ha degnata
dell’eterno riposo, sebbene la defunta
dai gruppi letterari stesse ben distante.
E anche sulla tomba di meglio non c’è niente
di queste poche rime, d’un gufo e la bardana.
Estrai dalla borsa il tuo personal, passante,
e sulla sorte di Szymborka medita un istante.
Limpide e non profonde
sono le rapide del torrente;
le verdi canne
quasi le puoi toccare.
Quelli delle capanne
ed est ed ovest dell’acqua,
lavano la seta
sotto il chiaro di luna.
In punta di piedi sugli scogli
torno vicino all’acqua;
al moto delle onde
un sentimento provo sconfinato.
Quando il sole tramonta,
sul fiume sosta il freddo,
e le vaganti nuvole
impallidiscono evanescenti
“Era un mercante di pillole che
calmavano la sete. Se ne inghiottiva
una alla settimana e non si sentiva
più il bisogno di bere.
– Perché vendi questa roba?
Disse il piccolo principe.
– E’ una grossa economia di tempo,
– disse il mercante – Gli esperti hanno
fatto dei calcoli. Si risparmiano
53 minuti a settimana.
– E cosa se ne fa di questi 53 minuti?
Leggi tutto >>Camini
profumati di resina
e d’abete …
il fumo
muove l’alpe
a consuete
fatiche