Ci sono due esigenze che, in una cucina che voglia dirsi equilibrata e relazionale, si rendono necessarie. Sono in qualche misura l’una opposta all’altra, ma credo che siano entrambe indispensabili.
Una è l’esigenza di flessibilità, quella che ci porta sempre ad inventare nuove cose, ad adattarci a quello che “troviamo nel frigo”, a quello che il caso o l’occasione ci forniscono per la nostra opera di “trasformazione degli ingredienti”.L’altra esigenza però è quella di rigidità.
Vogliamo forzare la stessa preparazione di sempre ed aggiungere o togliere un ingrediente per vedere come funziona?
Certo, possiamo farlo, dobbiamo farlo. Se abbiamo terminato l’insalata per un piatto di crudo nel menu possiamo provare a usare una zucchina o una carota grattugiata con sale e limone.
Oppure, se amiamo molto una ricetta a base di ingredienti fuori stagione, possiamo ripensarla con modalità simili, variando alcune componenti.
Ma è importante che cogliamo la “rigidità” della legge che sottende alla trasformazione: noi con il nostro “scarto”, lo squilibrio che induciamo per cambiare, dovremo cercare di collocarci in questa legge adeguatamente, cercando un nuovo equilibrio che tenga conto della rigidità della legge. Questa rigidità si collega anche a un altro concetto, che in genere non gli viene fatto corrispondere, ma secondo me si colloca proprio in questo quadro: quello del non-spreco.
Il concetto di non spreco va colto nell’ambito della rigidità, ovvero della legge che determina le relazioni tra gli ingredienti. Perché, se voglio rispettare fino in fondo quello che sto trasformando in cibo, in pietanza, e da questo rispetto voglio trasmettere agli ingredienti, ai miei commensali, a me stesso, il senso di attenzione che porto all’elaborazione del cibo (la cucina, del resto, è un vero e proprio laboratorio alchemico e il vero alchimista trasforma la materia trasformando se stesso, e viceversa), allora devo collocarmi di fronte agli ingredienti con serietà, e sapere che tutto quello che scarto è vita così come quello che ho scelto di trasformare.
Il concetto di Non Spreco è etico, prima che economico.
Non-sprecare è una necessità per instaurare una corretta relazione con le cose. È la forma di benedizione delle cose e del mondo che siamo anche noi.
Noi in questo simbolo (sym-ballein, elemento che unisce, mette insieme) ci ritroviamo uniti, rientriamo nel mondo della relazione, della poesia e della creazione, uniti alle “cose” attraverso la nostra vera natura, quella di trasformatori del mondo.
Tutto quello che ci viene offerto per la trasformazione deve poter rientrare in un ciclo al quale noi apparteniamo, nel quale abbiamo un ruolo definito, quello dell’azione consapevole.
L’uomo deve intervenire coscientemente nel mondo con la sua azione, deve trasformare il mondo: la necessaria compensazione di questo agire è il non-spreco.
Perché rigidità? Perché nulla deve sfuggire, nulla deve poter restare al di fuori. Perché non c’è un fuori, è tutto un fuori e un dentro. Un TUTTO non può che essere rigidamente sé stesso, nessuna variazione è possibile, nulla si può aggiungere o togliere a un TUTTO.
Potremmo dire anche “perfezione”. La perfezione non può essere flessibile (un po’ di perfezione…). Semplicemente è, e basta. Come un diamante, la massima espressione dell’elemento “Carbonio”, che tanto offre alla vita vivente (tutta a basa di carbonio). Ma un diamante non è vita vivente, è Perfezione. Ed è rigido. Del resto il diamante è stato costruito da vita vivente, nei millenni, è stato inventato da un pensiero di un qualche essere spirituale che ha portato uno squilibrio alla perfezione precedente.
La Rigidità non esiste senza flessibilità, e viceversa.
Pensate a un albero, il tronco rigido: quante foglie flessibili, e poi fusti che le sostengono, e poi rametti e rami, che hanno contribuito a costruire nel tempo quel tronco rigido? L’albero è tutto: flessibilità che l’ha costruito e rigidità che consente nuova flessibilità, nuove foglie. Nel mondo del divenire il nostro omaggio alla Perfezione è l’attenzione al non-spreco.
Ecco per voi alcune idee che si ispirano a questo concetto. Innanzitutto una buona base per ridurre lo spreco è recuperare tutti gli scarti vegetali ben lavati in un brodo di verdure. Bucce di carota, tagli residuali di cipolla o porro, bucce e torsoli di mela: quasi tutto può essere usato per un brodo che serva per mille preparazioni in cucina. Un buon brodo, ad esempio, è metà del segreto di un risotto ben riuscito, oppure può essere l’unica base di preparazione di una besciamella vegetale.
Poi, ci sono i classici riutilizzi di pane, polenta e riso: polpette, frittelle, torte. L’uso delle uova per legare è quello più tradizionale, ma altri sistemi a base di ingredienti non di origine animale possono essere pensati in alternativa (ad esempio dell’acqua di ceci, o semplicemente farina).
A base di pane possiamo fare anche delle ottime torte. Prendete ad esempio questa, tratta da un testo classico dei primi del Novecento: “L’arte di utilizzare gli avanzi della cucina”, di Olindo Guerrini, gastronomo e bibliotecario. Seguite se vi fa piacere i miei corsi di cucina su www.marcoinpentola.it
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