Perché scegliere una cucina priva di ingredienti di origine animale? Abbiamo varie risposte per queste domande, tutte altrettanto valide.La prima motivazione che possiamo mettere in luce per una scelta vegetale è etica: non cibandoci di animali o dei loro derivati conteniamo lo sfruttamento della risorsa “vita”. Scegliamo di ridurre il nostro impatto sul mondo, evitando nella misura a noi possibile di aggiungervi “sofferenza”. Chi fa una scelta alimentare “vegetale” per queste ragioni la estende in genere a tutto il proprio comportamento: anche il vestiario, ad esempio: niente pelle per le scarpe e giubbotti.
È una motivazione nobile, ma si entra in una materia complessa che richiede una responsabilità ampia, se la si vuole articolare con onestà: lo sfruttamento etico non è solo quello evidente nel cibo ma è possibile ovunque, in particolare verso i propri simili. E nella complessità delle relazioni vitali ci è impossibile “non uccidere”, fosse pure anche una zanzara o un moscerino nella nostra insalata da lavare. Neppure scegliendo (come gli adepti della religione jaina, i primi fautori di questa forma non violenta di relazione con il mondo) di camminare guardando sempre il terreno che calpestiamo per non schiacciare insetti, evitando l’uso di mezzi di trasporto, possiamo davvero evitare di uccidere qualche forma vitale. Questo ovviamente non vuol dire, visto che è impossibile non uccidere, che possiamo fare quello che vogliamo, estremizzando al contrario: è però fondamentale che ciascuno trovi al riguardo una propria misura, che sia giusta per sé stessi e mai dovrebbe essere considerata da noi per gli altri, di cui non conosciamo le condizioni e le ragioni.
C’è poi una motivazione che riguarda la salute: in linea generale l’alimentazione vegetale è più salutare, ricca di fibre e di vitamine, con meno grassi e meno colesterolo, più equilibrata nell’apporto proteico. Ma è una generalità da considerare pure con equilibrio e da applicare caso per caso, persona per persona. Ci sono cibi che vanno bene per alcuni e non per altri. Inoltre le proteine di origine animale, definite “nobili” perché contengono alcuni aminoacidi essenziali per il nostro organismo (ovvero, che il nostro organismo non è in grado di sintetizzare in autonomia) e alcune vitamine (specificamente la vitamina B12, la cui mancanza produce anemia) sono difficili da trovare nel mondo vegetale. Questo non vuole dire che sia impossibile, grazie a determinati accorgimenti (ad esempio la fermentazione). Ma è importante che la scelta “vegetale” sia applicata in modo consapevole, garantendo la quantità sufficiente di elementi nutrizionali.
C’è anche una motivazione economica per la scelta vegetale: conti alla mano, per “produrre” carne servono molte più risorse (acqua, energia, …) rispetto al pari apporto nutrizionale vegetale. Una bistecca di manzo consuma molte più risorse del nostro pianeta rispetto a un cappuccio o un carciofo. C’è poi una motivazione più complessa, intrinseca agli ingredienti.
Tutti gli animali, e gli uomini con essi, sono esseri viventi eterotofi. Ovvero, per crescere, per vivere, devono mangiare qualcosa di esterno a loro, svolgendo un “lavoro” di trasformazione del mondo esterno: si nutrono di sostanze minerali e di materia che sono “al di fuori” del loro organismo (il prefisso etero- significa “altro”, mentre il termine trofismo deriva dal greco trophe, nutrimento). Le piante in genere sono invece autotrofe: ovvero crescono sintetizzando in se stesse, tramite l’energia solare, le sostanze che servono per la loro crescita.
La vita che troviamo nelle vivande di cui ci nutriamo, che servono per costruire in noi la consistenza fisica, la corporeità, attraverso la quale viviamo, pensiamo, ci relazioniamo, è quindi di due qualità: vita che ha già cominciato un lavoro di trasformazione del mondo, che proviene dal mondo eterotrofo animale, e vita che cresce di per se stessa, disponibile nelle piante, il mondo autotrofo. Tutta questa vita, dell’una e dell’altra natura, viene poi a sua volta scomposta in noi e ricomposta, ricostruita, per generare la nostra corporeità.
Tagliando molto alla grossa (perché ci sono molte considerazioni e varianti possibili) questa differenza implica che il nostro organismo “animico”, ponendosi il compito di trasformare con la digestione gli ingredienti dei cibi di cui ci nutriamo nella nostra corporeità fisica, svolge un lavoro maggiore se deve portare cibo vegetale al livello di vita trasformata nella nostra carne, mentre svolge un lavoro minore se deve portarvi del cibo parzialmente già “portato avanti” nella sua trasformazione in carne, ovvero il cibo di origine animale.
Questo apparentemente sembra essere un vantaggio ma lo è solo in funzione delle nostre necessità specifiche. Non sempre è utile per noi svolgere un lavoro agevolato, in particolare in campo animico, dove i traguardi vanno “guadagnati”: fare il lavoro completo, trasformare il mondo in noi, nella nostra corporeità fisica, a partire dalle basi, significa consentire alla nostra anima di sperimentare meglio e più profondamente le proprie capacità di trasformazione. Per cui trasformare gli ingredienti a partire dalle piante, dal mondo autotrofo, “insegna all’anima” più cose.
Non è però detto che tutti, in ogni momento e in ogni fase della propria crescita personale, si voglia o si debba effettuare questo lavoro di trasformazione sempre al suo massimo grado. Possono esserci persone diverse, o momenti diversi nella vita della stessa persona, situazioni differenti in cui è opportuno alleggerire il proprio impegno “animico” di trasformazione degli ingredienti e agevolare il lavoro, nutrendosi di cibi derivanti dal mondo animale, per lasciare libere risorse energetiche per altre necessità. Chi svolge ad esempio un lavoro intensamente fisico è spesso portato a cercare cibi animali per questa ragione. Questo non significa, ancora una volta, che non ci si possa alimentare con soli vegetali anche in caso di sforzi fisici prolungati, molti sportivi anche ad altissimo livello lo fanno: solamente si tratta di scelte libere e consapevoli.
Per cui, secondo questa visione delle cose (che si rifà alla teoria antroposofica di Rudolf Steiner), che nulla ha a che vedere con la “leggerezza” della digestione bensì con la leggerezza o pesantezza del lavoro di trasformazione della materia, è importante riferirsi alla sfera della consapevolezza e della libertà: non esiste un modo di alimentarsi valido sempre e per tutti ma ciascuno deve poterlo articolare con equilibrio grazie alla propria responsabilità, che cresce e si rafforza.
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