Una recente indagine Eurostat* ha fornito alcuni dati sul consumo di pesticidi all’interno dell’Unione Europea per il triennio 2011-2014. Per quanto riguarda questi dati, con il termine “pesticidi” si intendono le seguenti categorie di prodotti: fungicidi, battericidi, erbicidi, defoglianti, muschicidi, insetticidi, acaricidi, molluschicidi, regolatori di crescita e altri prodotti fitosanitari.
La quantità totale di pesticidi venduti riguarda e prende in considerazione le sostanze attive, ed i numeri riportati in questa indagine fanno venire i brividi… si parla di decine e decine di migliaia di tonnellate di principi attivi di sintesi.
Se consideriamo che l’uso di questi principi attivi può avere impatti ambientali negativi sulla qualità dell’acqua e sulla biodiversità , e che eventuali residui di pesticidi negli alimenti possono anche rappresentare un rischio per la salute umana, viene da chiedersi come mai si possa ammettere e tollerare l’uso di queste sostanze. Per rispondere a questo interrogativo è necessario fare un passo indietro nella storia più o meno recente.
Al termine della seconda guerra mondiale le condizioni della popolazione erano tali da giustificare l’uso di tutte le risorse possibili al fine di aumentare le produzioni agricole e alimentari per soddisfare le esigenze e le necessità del periodo. La richiesta da parte della popolazione era: “C’è da mangiare?”.
In questa fase di emergenza l’industria della chimica riesce ad entrare a gamba tesa nel tessuto produttivo delle campagne anche perché impianti vari e processi produttivi (anche di carattere bellico) vengono riconvertiti in questo settore. E la politica si preoccupa principalmente di fornire produzioni alimentari sufficienti. Si può affermare che la crisi alimentare del secondo dopoguerra abbia rappresentato una sorta di “Cavallo di Troia” per l’industria degli agrofarmaci, favorendone lo sviluppo e l’espansione.
L’immagine sotto testimonia l’uso del DDT da parte delle truppe anglo-americane per igienizzare gli edifici che al termine della guerra erano infestati da parassiti. Le case nelle quali era impiegato il DDT venivano contrassegnate con tanto di data. Una di queste testimonianze è ancora oggi visibile sul muro esterno di una casa nella città di Ferrara (sono diverse le testimonianze di questo genere, di carattere storico, ancora visibili sul territorio italiano).
Questa ed altre sostanze utilizzate anche in ambito bellico, terminato il conflitto, hanno poi trovato largo impiego nel settore agricolo arrivando a snaturare completamente i cicli biologici e produttivi.
Negli anni ’40 e ’50 l’uso di questo pesticida era finalizzato al controllo di vari parassiti e malattie ad essi correlate. Sempre in questo periodo viene introdotto l’uso degli erbicidi.
Ma negli anni ’70 le cose iniziano a cambiare, e i consumatori non domandano più se c’è da mangiare ma chiedono “Che cosa c’è da mangiare?“. Si inizia a parlare in maniera più o meno diffusa di qualità alimentare, ecologia, ambiente e non ultimo (a livello politico) di poter ridurre la sovrapproduzione. Inizia la ricerca di qualità . Proprio dagli anni ’70 ha inizio la messa al bando del DDT da parte delle nazioni sviluppate.
Poi negli anni ’90 si assiste ad un ulteriore passo, e la domanda posta dai consumatori assume connotati diversi: “Come è stato prodotto? Quale è migliore per me? Quale è sicuro?“. Si parla sempre più di sicurezza alimentare e, soprattutto, di uso effettivo delle risorse.
Oggi si parla chiaramente di tutela dell’ambiente e di salvaguardia delle risorse naturali.
E dunque se vi fu un periodo nel quale l’uso di prodotti di sintesi veniva tollerato e ammesso (per necessità , per la mancanza di conoscenza, per la mancanza di sensibilità etc.), oggi non può più esserlo.
A tutto ciò va aggiunto anche il fatto che le tecniche produttive e le pratiche agronomiche in agricoltura biologica e biodinamica sono molto migliorate nel tempo; le competenze acquisite dagli operatori del settore (agricoltori, agronomi, tecnici) permettono di ottenere e garantire ottime produzioni in termini di qualità e quantità (e soprattutto sostenibili). Starà poi al consumatore chiudere il cerchio attraverso un consumo che sia sensato ed equilibrato.
Fortunatamente il consumo e l’uso di pesticidi all’interno della Comunità Europea in questi ultimi anni è in diminuzione, ma la strada da percorrere è ancora lunga… anche in virtù di uno studio dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) il quale certifica la presenza diffusissima nel bacino del Po dell’atrazina, una sostanza ormai vietata. Ma sostituita dalla terbutilazina che per gli scienziati è ugualmente pericolosa.
Le soluzioni in grado di risolvere queste problematiche esistono; basta solo applicarle.
Negli articoli precedenti è stata sottolineata l’importanza di una sana agronomia di base per poter prevenire patologie e infestazioni da parte di parassiti. In agricoltura biodinamica risulta dunque fondamentale la prevenzione come strumento principale per poter contenere malattie e fitofagi vari.
È comunque possibile utilizzare diversi rimedi naturali per contenere o limitare varie problematiche. Questi rimedi dovranno essere utilizzati in via preventiva oppure alla comparsa dei primissimi sintomi, e la loro efficacia dipenderà principalmente dalla corretta applicazione di buone pratiche agronomiche. Questi rimedi, in poche parole, rappresentano solo un tassello all’interno del mosaico complessivo.
Tra le varie soluzioni naturali è certamente possibile il ricorso ad estratti vegetali di vario genere come macerati, tisane e decotti da impiegare in base alle necessità . Queste soluzioni naturali, per poter essere efficaci, devono essere allestite e applicate in maniera corretta.
Vengono definiti macerati gli estratti naturali ottenuti dalla macerazione in acqua di alcune specie erbacee (a temperatura ambiente), e sono in grado di estrarre sali minerali e altri composti utili.
Con la tisana si usa acqua calda e, solitamente, viene impiegata per vegetali che hanno subito una essiccazione (foglie, fiori essiccati). L’essiccazione è utile per poter conservare nel tempo le erbe, e poterle poi impiegare anche quando non sono direttamente reperibili.
Il decotto invece si rende necessario nel caso di strutture vegetali coriacee e resistenti come la corteccia di Quercia (Quercus robur) oppure l’Equiseto (Equisetum arvense). In questo caso è necessario far bollire per diverso tempo l’essenza in questione per poterne estrarre i costituenti.
A seguire, nei prossimi numeri, i dettagli di vari rimedi.
*Si ringrazia il Dott. Loic Pinzan per la traduzione del documento Eurostat sull’agricoltura.