Agropyron repens L. – Poaceae.
Fioritura: maggio-luglio – Parti raccolte: rizomi – Tempo balsamico: tutto l’anno
Agropyron repens è il nome scientifico della gramigna, la più ostinata tra le rustiche e spontanee graminacee perenni che infestano i prati, gli incolti erbosi, i coltivi e davano, un tempo, molto filo da torcere al contadino che vide , prima dell’arrivo dei diserbanti, troppe volte, tornare inutili gli sforzi per estirparla.
Ha costituito perciò un fastidio notevole nei campi coltivati, dove ha sempre mostrato grandi capacità di resistenza e un sistema di riproduzione e di rigenerazione impostato sulla frammentazione dei fusti sotterranei, bianchi e sottili, che sviluppano una serie di nodi, ognuno con la propria gemma, nella parte superiore e con un gruppo di radici, nella parte inferiore.
Le gemme possono essere distanti l’una dall’altra cinque centimetri, crescere in condizioni ottimali anche quattro centimetri al giorno, producendo una pianta con rizomi estesi anche per ottanta metri in una sola stagione di crescita. In un ettaro di terreno densamente infestato possono esservi circa sei milioni di rizomi, che si estendono invadendo una superficie di circa trecento chilometri quadrati. Aveva ben ragione Giovanni Verga di scrivere nell’ Amante di Gramigna “.. danno la caccia a un brigante, certo Gramigna, se non erro, un nome maledetto come l’erba che lo porta…”.
E si potrebbe aggiungere anche come la pianta incomba minacciosa anche in quella esigua realtà rappresentata dall’orto domestico, uno spazio coltivato fino all’esasperazione, tanto da mutare un esiguo frammento di terra in una delle più significative realtà della vita quotidiana rurale, radicata nell’ambiente, nelle attività agricole, nell’evoluzione della cultura e della società .
Il nome del genere deriva dal greco agros = campo e pyros = grano, e si riferisce alla rassomiglianza dell’infiorescenza a quella del grano coltivato (Triticum). In periodi di carestia, nella società povera, i rizomi sono stati usati, assieme a tante altre miscele di grani inferiori, di erbe e radici, per confezionare un pane della mistura. Era riservato ai ceti subalterni, dava l’immagine di un territorio ed era la conseguenza di pratiche di cucina, di usi, di abitudini, costruite sotto l’assillo della fame. Era infausto metterlo in tavola riverso, peccaminoso disperderne le briciole.
La gramigna serviva anche ad altro. Colummella, nell’Arte dell’Agricoltura, nel capitolo relativo alla disposizione delle uova per la cova scrive: “Moltissimi pongono sotto fra la paglia del nido un po’ di gramigna e dei rametti di lauro e ancora capi d’aglio con chiodini di ferro. Cose tutte che si crede siano un rimedio contro i tuoni, dai quali le uova possono essere guastate e possono essere uccisi i pulcini quando ancora non sono formati.”
De Crescenzi invece testimonia l’uso dei rizomi come diuretico e antisettico nel trattamento degli stati infiammatori delle vie urinarie. “… ha virtude stitica, ed ha virtù di saldar le ferite, e dissolvere il ventre, e di sanar le piaghe delle reni, e della vescica, e a mitigare il dolore della milza. E ‘l suo sugo, dato a bere, ha proprietade d’uccidere i lombrichi. Questa erba conoscono i cani, i quali, quando purgar li vogliono, la mangiano, secondo che scrive Plinio.” Di qui, il nome di erba dei cani, di erba dei gatti, di erba delle formiche, che la tradizione contadina, fino a qualche anno fa, usava ancora, così come anche l’abitudine di ricorrere alla gramigna poiché la si riteneva depurativa, diuretica, rinfrescante, emolliente, decongestionante.
Nei Colli Berici, la cultura popolare orale assicura che veniva preparato un efficace decotto bollendo, per un minuto, trenta grammi di rizoma di gramigna in tanta acqua da coprire del tutto i rizomi. Poi si versava l’acqua, si schiacciavano i rizomi e si mettevano di nuovo a bollire in due litri d’acqua, finché il liquido fosse ridotto a metà . Durante la bollitura si aggiungeva dello zucchero o del miele.
Se ne bevevano tre – quattro tazze al giorno. Ne traevano vantaggio il fegato e i reni, era utile per sciogliere i calcoli, curare i reumatismi e la gotta. Questo curiosare tra le piante induce ad andare a tempi a noi più vicini, quando si giocava e ci si divertiva anche senza giocattoli, e con i rizomi della gramigna, che hanno una loro peculiare forma a collo d’oca, si faceva una fila di ochette, in grado di attraversare grandi fiumi e ampi laghi, per sfuggire a orrendi mostri, furbastre streghe, avidi cacciatori.
Questa non è malinconia. E’ solo un cenno ai ragazzi di allora, a come si divertivano e giocavano, chiamando la fantasia a sopperire col poco che avevano e al molto che mancava.
BRICIOLE D’ARCHIVIO
Sinonimi
Gramen.; Gramen vulgare. Dod.; Gramen caninum Ger.; Gramen caninum arvense, sive Gramen Diosc.; Gramen repens, officinarum forte, spicae triticae aliquatenus simile. I.B.; Gramen caninum vulgatius. Park..
Loco
“Nasce ne i Campi, nelle vigne, in luoghi inculti.” (Durante)
Cocina
“Mangiansi le radici della gramigna, dove si ritrovino tenere: percioche posseggono una certa dolcezza, come d’acqua, la quale ha in se alquanto dell’acuto, et dell’acerbo. Et al tempo delle carestie si mescola la farina loro, con quella del grano, et se ne fa buon pane, aggiungendovi ancora farina di radice di aro, et impastando con decottion di zucche, et di riso“. (Durante)
Giovamenti / Nocumenti
“Di dentro. La decottion della radice bevuta, giova à i dolori degl’ intestini, alle difficoltà dell’orina, rompe le pietre della vesica. Il seme provoca più valorosamente l’orina, ferma i flussi del ventre è i vomiti. La decottione vale all’ulcere della vesica.
Di fuori. La radice, trita et impiastrata consolida le ferite, il che fa ancora la sua decottione, il che fa ancora l’herba pesta et impiastrata: imperoche ella le preserva dall’infiammagione. Aggiungono alcuni alla sua decottione vino et mele, vi pongono tre parti di pepe, di incenso, di mirra, cuociono poscia tutte queste cose in un vaso di rame per il dolor dei denti (…) il seme giova à i morsi de i serpenti.” (Durante)
Ricetta Storica
“De suppositione ovorum. Plurimi etiam infra cubilium stramenta graminis aliquid et ramulos lauri nec minus alii capita cum clavis ferreis subiuciunt. Quae cuncta rimedio creduntur esse adversus tornitura, quibus vitiantur ova pullique semiformes interimuntur, antequam toti partibus suis consummentur.”
(Disposizione delle uova per la cova. Moltissimi pongono sotto fra la paglia del nido un po’ di gramigna e dei rametti di lauro e ancora dei capi d’aglio con chiodini di ferro; cose tutte che si crede siano un rimedio contro i tuoni, dai quali le uova possono essere guastate e i pulcini uccisi. Columella)