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Il favoloso mondo di Friedensreich Hundertwasser

Il sogno di Hundertwasser è stato quello di credere in un’architettura che è natura, che sa di verità, che trabocca di felicità. Perché ha creduto nella vita e la vita lo ha sostenuto. «….denn das Paradies ist um die Ecke»: il paradiso è dietro l’angolo. Così è scritto all’ingresso di Bad Blumau, paesino della Stiria, dove Friedensreich Hundertwasser, tra il 1994 e il 1998, ha costruito un microcosmo architettonico intorno alle acque termali.

 Villaggio? Insediamento turistico? Niente di tutto questo. Un mondo di forme, colori, vegetazione che è parte integrante di queste architetture fiabesche. Indescrivibile. Paesaggio architettonico che ondeggia, dove arbusti e alberi vivono in simbiosi con volumi affioranti dalla terra, come dopo una pioggia notturna. Forme che portano con sé il profumo dell’humus. Homo-humus-humanitas: «l’humus è il vero oro nero. L’humus ha un buon odore. Il profumo di humus è più sacro e più vicino a Dio del profumo d’incenso». Era il pensiero di Hundertwasser. Humus e terra, quella terra madre da cui spuntano improvvise, inattese, le sue case.

In L’albero inquilino afferma che gli alberi sono, come l’uomo, inquilini della casa, abitanti degli spazi esterni che si fanno un tutt’uno con quelli interni. Vegetazione quindi che «infesta» le superfici, cresce, si ritorce, cambia direzione, entra, si confonde con le superfici.
Che emozione i tetti abitati dalle piante, dall’erba, da fiori, cespugli, che accettano di essere calpestati anche se sono arte, natura vera; strati di isolante, pomice e ghiaia proteggono i solai, l’acqua dell’irrigazione viene recuperata dal cielo. Anche questo, in altura, è un mondo diverso da quello giù, perché da qui si ammirano le colline, i paesaggi lontani, le cupole indorate dal sole e l’osservatore diviene, improvvisamente, egli stesso collina, cupola, paesaggio.

Lungo i camminamenti inverditi sui tetti, pare di avvertire il calore dell’acqua salina, scosti il ramo che t’impedisce di continuare, tocchi un pezzo di cielo. Linee, linee… le linee rette! Ma non hanno rapporti con la nostra vita, tuonava Friedensreich! «Al giorno d’oggi viviamo in un caos di linee rette, in una giungla di immorali linee rette. La livella e il metro dovrebbero essere vietati, sono il simbolo dell’ignoranza e il sintomo della disintegrazione della nostra civilizzazione».
«…Il pavimento piatto è un vero pericolo per l’uomo…» perché camminando sulle superfici piane si perde il contatto naturale con la terra… Ecco allora i percorsi interni e esterni pavimentati crescere su, lungo i muri, ai lati. Perfino le scale, con i gradini che si allargano ai lati quasi a abbracciare le pareti per fondersi insieme in un unicum di steineriana memoria.

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Pareti ondeggianti, tetti sinuosi che non sembrano più tetti, colori aperti, coraggiosi di mostrarsi, lui che era nato come pittore e scultore: «Dipingere è sognare. Quando dipingo, io sogno». Lui che nella prima parte della sua vita aveva disegnato francobolli, stampe, manifesti nell’impianto termale a Bad Blumau, nelle case popolari della Hundertwasserhaus a Vienna, come nel Waldspirale a Darmstadt e nella chiesa di Bärnbach oppure nella decorazione dell’inceneritore di Vienna a Spittelau, crea pareti dipinte come quadri, ritaglia finestre che hanno un proprio mondo, eleva colonne ricoperte di ceramica, mattoni, mosaici di forme diverse, ardite, che poi continuano sul piano superiore con scie di altri mosaici, colori, come una colonna nata dal ventre della terra, radicatasi che continua fino all’infinito quasi a sostenere il cielo, come fanno gli alberi secondo gli indiani d’America.

Contrario al mondo accademico, alle architetture razionali, contrappone le rotondità, la morbidezza delle forme, carezzevoli, amiche, che rendono intimità e calore, simbolo della vita come la spirale. «…La spirale è il simbolo della vita e della morte. Si trova esattamente nel punto in cui la materia inanimata si trasforma in vita», scriveva nel 1974. Nel Manifesto Ambientalista parla del «diritto della finestra», ossia il diritto di una persona di riconoscere da fuori i propri spazi abitativi e quindi dipingere i muri attorno alle aperture, con colori vivaci. Dalle finestre spuntano i rami di alberi che non sono stati abbattuti per lasciare spazio alla casa. «È vostro diritto modificare secondo il vostro gusto le finestre e la facciata della vostra casa, fin dove il vostro braccio può arrivare» (Il diritto della finestra, il dovere dell’albero, 1972).

La città. La città è malata.

«Da quando ci sono urbanisti indottrinati e architetti standardizzati, le nostre case sono malate. Non si ammalano, sono già concepite e costruite come case malate. Tolleriamo migliaia di questi edifici, privi di sentimento ed emozioni, dittatoriali, spietati, aggressivi, sacrileghi, piatti, sterili, disadorni, freddi, non romantici, anonimi, il vuoto assoluto. Danno l’illusione della funzionalità. Sono talmente deprimenti che si ammalano sia gli abitanti sia i passanti».
Scriveva che ognuno doveva sentirsi «re a casa propria»: ecco favolose cupole sopra ai palazzi che ristruttura, spazi di fantasia per giovani e bambini, luoghi dove poter scrivere sui muri e giocare. Tende a costruire un diverso equilibrio con la natura, usando in epoche non sospette prodotti e materiali bioedili.

Senza ricercare la verosimiglianza con la natura, il colore deve nascere dal proprio sentire interiore. Questo pensava Matisse, padre dei Fauves. E c’è molto di matissiano nell’impiego dei colori di Hundertwasser, con ceramiche rosse sgargianti, colori quasi violenti nel loro sgorgare impetuoso. C’è in Hundertwasser anche Art Nouveau, Modernismo e Secessione: lo Jugendstil è un’arte nuova, fresca, sensuale, vicina al modello della natura e al tempo stesso adatta a portare alla luce gli stati d’animo più reconditi. Ci si trova molto anche di Klee, la sua rarefazione della realtà, quella composizione armoniosa, luminosa di colori dalle mille sfumature. Ma nelle sue pareti scomposte di colori vi si possono trovare anche gli acquerelli di Kandinsky.

Ha ammirato Lucien Kroll, il grande architetto belga, uno dei padri della Sostenibilità. Con lui ha condiviso la critica al Movimento Moderno di aver trascurato la componente più bella dell’uomo, quella legata alle emozioni, alla sensibilità, alla memoria, al sogno.
Come Kroll, anche Hundertwasser plasma le sue opere sullo spirito dei luoghi e su chi li abita; esse si sviluppano in strutture irregolari, organiche, sospese e quasi incompiute, in costante evoluzione, non ripetitive, privilegiando il processo creativo continuo contro la perfezione sterile.

La natura e il rapporto dell’uomo con essa: questo era ciò che gli era più importante. Decisivo. Definiva la sua architettura «vegetativa» perché, come un albero, si sviluppa con grande lentezza e senza clamore. Le case, «la terza pelle dell’uomo», sono parte integrante della natura e perciò devono crescere, trasformarsi silenziosamente, con l’apporto dei loro abitanti.
Il colore ha avuto un ruolo decisivo nelle sue opere che potremmo definire «musica visiva». A un certo punto ha pure cambiato nome: da Friedrich Stowasser in Friedensreich Hundertwasser che significa: «Cento acque di Regno di Pace».

Scrive Italo Calvino nelle Città invisibili: «È delle città come dei sogni: tutto può essere sognato, ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura». La città come i sogni sono costruite di desideri e di paure… Il sogno, o forse meglio, il desiderio di Hundertwasser è stato quello di credere in un’architettura che è natura, che sa di verità, che trabocca di felicità. Perché ha creduto nella vita e la vita lo ha sostenuto.
Certo che il paradiso è qua, sulla terra, dietro l’angolo. Quel paradiso che ognuno di noi può realizzare liberando la sua creatività e costruendolo con le proprie mani. Quel paradiso che stiamo distruggendo. O no, Cento acque di Regno di Pace?

 

N.d.R: Inizia da questo numero la collaborazione con l’architetto Maurizio Signorini, specialista di progettazione bioedile e di ecodesign, che propone una serie di articoli su architetti o artisti geniali sconosciuti o dimenticati; personaggi che sono stati prima grandi uomini, poi grandi artisti, credibili nella loro vita votata all’arte e con non pochi sacrifici e amarezze. Non ultima quella di essere stati dimenticati.

Biolcalenda ottobre 2013


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