La necessità della decrescita deriva dalla banale constatazione che una crescita infinita in una realtà finita è impossibile, una constatazione che sfugge alla logica dell’economia che oggi condiziona il mondo. Il sistema economico liberista riduce a merce ogni risorsa naturale, comprese quelle che costituiscono un patrimonio comune, come l’acqua che beviamo,
fino agli stessi organismi viventi, uomo compreso (si pensi alla brevettabilità dei viventi e delle loro parti, geni, cellule, tessuti ecc.). Questa ideologia liberista porta a credere che energia e materie prime siano sempre disponibili, praticamente infinite. C’è in tutto ciò un irrazionale e irresponsabile ottimismo, che fa ritenere credibile una crescita continua della produzione industriale e che porta a pensare che qualunque effetto negativo questa produzione possa arrecare all’ambiente o alla salute umana, può essere risolto dalla scienza e dalla tecnica.
In questa impostazione non c’è spazio per la prevenzione e per la precauzione, ma solo per interventi mirati a curare i danni avvenuti (inquinamenti, malattie, ecc.), interventi che richiedono nuove produzioni e nuovi consumi e che fanno crescere ulteriormente il prodotto interno lordo, unico parametro preso in considerazione dall’economia liberista, come fosse un idolo. Ma in una società sostenibile le attività umane non possono ridurre a merce ogni bene materiale ed immateriale; al contrario devono inserirsi nei complessi e delicati equilibri dinamici, presenti nell’ambiente naturale, senza distruggerli, senza trasformare le risorse in rifiuti, senza ridurre la biodiversità degli organismi viventi. In altre parole occorre sostituire all’economia della crescita un’economia della decrescita o, come dice Serge Latouche, “la scelta volontaria di una società che decresce è una scommessa che vale la pena di essere tentata per evitare contraccolpi brutali e drammatici”.
Quasi venti anni fa Alex Langer osservava: “Ci troviamo al bivio tra due scelte alternative: tentare di perfezionare e prolungare la via dello sviluppo, cercando di fronteggiare con più raffinate tecniche di dominio della natura e degli uomini le contraddizioni sempre più gravi che emergono (basti pensare all’attuale scontro sul petrolio) o invece tentare di congedarci dalla corsa verso il ‘più grande, più alto, più forte, più veloce’ chiamata sviluppo per rielaborare gli elementi di una civiltà più ‘moderata’ (più frugale, forse, più semplice, meno avida) e più tollerante nel suo impatto verso la natura, verso i settori poveri dell’umanità, verso le future generazioni e verso la stessa ‘biodiversità’ (anche culturale) degli esseri viventi”.
E sempre Langer metteva in luce che quest’ultima è un’utopia ‘concreta’, mentre la crescita illimitata, basata sul ‘sempre più veloce e sempre più grande’, è una pericolosa illusione, comunque irrealizzabile.