Il termine “decrescita” viene usato sempre più spesso nelle conversazioni, negli articoli di giornali e persino in qualche trasmissione televisiva.
Qualche volta a sproposito, equivocando e fraintendendo le intenzioni dei proponenti. Inevitabile che ciò avvenga, perché non si tratta di una “dottrina” e nemmeno di una teoria compiuta.
Lo scopo della “decrescita” è proprio quello di rompere un tabù – la religione della crescita del Pil – e di aprire una discussione. Ben vengano, quindi, molti quesiti a cui è possibile dare moltissime diverse risposte.
Un po’ per gioco, un po’ per chiarirci le idee anche tra noi, abbiamo provato a raccogliere le domande che più frequentemente ci vengono rivolte, come si fa per le FAQ (Frequently Asked Questions) di un qualsiasi prodotto di largo consumo, e abbiamo cercato di rispondere.
Ma non giuriamo che siano le risposte giuste.
Anzi, siamo sicuri che ogni lettore, sulla scorta delle proprie esperienze e dei propri desideri, saprà immaginare mondi migliori dei nostri e modi più efficaci e gioiosi per raggiungerli. I testi delle risposte sono stati curati da vari autori e autrici impegnati in vario modo nel mondo della ricerca, dell’associazionismo, dell’economia equa e solidale, della decrescita. Bruna Bianchi, Mauro Bonaiuti, Paolo Cacciari, Alberto Castagnola, Marco Deriu, Dalma Domeneghini, Adriano Fragano, Ferruccio Nilia, Maurizio Ruzzene, Paolo Scroccaro, Gianni Tamino.
FAQ n.1
Perché usate il termine “decrescita”, che suscita reazioni negative?
Perché è il termine che meglio mette a fuoco l’origine della crisi ecologica e sociale planetaria: l’ossessione della crescita economica a tutti i costi.
Ci rendiamo ben conto che la parola decrescita suscita istintivamente reazioni negative.
Sembra quasi una bestemmia in una società che professa la “religione della crescita”.
Anche alcuni che – come noi – condividono la necessità di un cambiamento dello stato di cose presente considerano la decrescita una proposta fuorviante, perché non sarebbe in grado di indicare con chiarezza quali ne sarebbero i benefici e quali i beneficiari. Perché allora intestardirsi nel riproporre il termine decrescita? Proprio perché è uno slogan che produce un cortocircuito mentale; mette in discussione il dogma bugiardo della crescita illimitata in un mondo finito.
É come quel bambino che grida “il re è nudo”.
Non è vero che il perseguimento della crescita economica debba essere il fine principale della società umana. E, anche se lo fosse, non sarebbe realistico. Prima o poi ci si scontrerebbe con il limite delle risorse a disposizione.
Vi sarebbero altre parole analoghe meno “impattanti” per spiegare lo stesso concetto? Sicuramente sì. Molti pensatori e molti movimenti sociali hanno elaborato e usato parole diverse: Swadeshi (Gandhi), semplicità volontaria (Alexander Langher), convivialità (Ivan Illich), sobrietà (Gesualdi), austerità (Enrico Berlinuer), joie de vivre (Georgescu Rogen), ecosocialismo (Fri Betto), Bien vivir (comunità andine), economia del sufficiente e del bastevole (Wuppertal Insitute)… Ma, domandiamoci, hanno richiamato la stessa attenzione che sta avendo la decrescita?
Molte persone subiscono l’immagine che di sé continua a dare il sistema economico dominante e preferiscono trovare delle strade o dei linguaggi meno shoccanti nella speranza di trovare gradualmente e senza traumi delle vie di uscita alle crisi del sistema. Ma, al di là di queste considerazione di natura più psicologica, se appena si conoscono i principali problemi che tormentano l’umanità da alcuni decenni, come quelli legati alle guerre per l’accaparramento delle materie prime o agli sconvolgimenti climatici più drammatici o ad una delle tante epidemie che affliggono il pianeta, il termine è invece utile proprio per la sua radicalità .
Se si vogliono evitare gravi traumi alle persone refrattarie a qualsiasi sollecitazione, si può – subito dopo aver usato il termine decrescita – affermare che nessuno vuole tornare all’età delle caverne e che il patrimonio scientifico e tecnologico non sarà certo cancellato, anzi troverà utilizzazioni molto più interessanti e positive per il genere umano .
In realtà la decrescita non prevede salti all’indietro nel percorso evolutivo della specie umana, ma cerca di delineare delle prospettive sempre meno dannose per il pianeta, con consumi qualitativamente diversi di tutte le materie prime, agricole e industriali, con riduzioni radicali dei contenuti di rifiuti inutilizzabili o inquinanti di ogni bene realizzato, con una alimentazione assolutamente sana e basata su quantitativi ridotti al minimo essenziale per tutte le popolazioni del pianeta, con valori massimi attribuiti al godimento della natura e all’acquisizione di contenuti culturali. Le riduzioni, anche drastiche se non immediate, sono evidentemente previste per i pesticidi e altri prodotti chimici malsani in agricoltura, per le sostanze radioattive, per gli imballaggi inutili, per i mezzi di trasporto a energia fossile.
Dovranno invece essere fortemente aumentate e molto più diffuse le attività di ricerca e di studio, sia finalizzate che completamente libere, in modo da mettere a punto tecnologie non più basate su prodotti dannosi e che invece permettano di ottenere risultati molto efficaci da materie prime e fonti energetiche non più pericolose.
Quindi queste “riduzioni” sono temibili sono da chi vive, più o meno consapevolmente, nella dimensione del consumismo sfrenato, mentre aiuterebbero le popolazioni fin da ora orientate a fare scelte di vita consapevoli e di qualità (fra l’altro con costi economici e umani ben minori di quelli che devono affrontare i paesi di più antica industrializzazione).
Si aprono invece delle prospettive di estremo interesse sociale, in quanto i “nuovi” prodotti possono essere il risultato della completa riprogettazione di quelli preesistenti, oppure di intense attività di ricerca mirate ad ottenere oggetti per lo stesso uso precedente ma di qualità ecologica completamente diversa. Ambedue questi percorsi richiedono molta manodopera particolarmente qualificata, proprio nel momento in cui il sistema economico dominante dimostra concretamente la sua incapacità a creare posti di lavoro. Infine, non dovrebbe essere particolarmente difficile elaborare dei modelli di convivenza, diversi da quelli urbani e agroindustriali attuali, che permettano il massimo grado di diffusione delle relazioni tra le persone, senza però che ciò richieda complessi sistemi di trasporto fortemente energivori e molto inquinanti.
La decrescita dovrebbe cioè esercitarsi sulle dimensioni ormai insostenibili delle megalopoli e far invece emergere nuclei abitativi per modesti gruppi umani, percorribili sempre a piedi, ma dotati di centri per la cultura (dai cinema alle zone espositive). Analoghe logiche potrebbero essere applicate per quanto riguarda l’assistenza sanitaria, fortemente dislocata sul territorio, o per i centri scolastici e universitari, che dovrebbero essere “avvicinati” alle popolazioni, invece di essere praticamente ingestibili a causa della loro eccessiva concentrazione in pochi centri urbani intensamente popolati.
Letture essenziali
Aa.Vv., Il dolce avvenire, esercizi di immaginazione radicale del presente, Diabasis, Reggio Emilia, 2009.
Aa.Vv., Idee per una società post-sviluppista, Sismodi editore, 2009.
Serge Latouche, Come sopravvivere allo sviluppo, dalla decolonizzazione dell’immaginario economico alla costruzione di una società alternativa, Bollati Boringhieri, Torino, 2005.
Serge Latouche, Come si esce dalla società dei consumi, corsi e percorsi della decrescita, Bollati Boringhieri, Torino, 2011.
Serge Latouche Per un’abbondanza frugale, malintesi e controversie sulla decrescita, Bollati Boringhieri, Torino, 2012.
3° Conferenza Internazionale sulla Decrescita per la sostenibilità ecologica e l’equità sociale dal 19 al 23 settembre a Venezia. Il programma definitivo e le modalità di partecipazione sono consultabili sul sito www.venezia2012.it.