Non vi sono liberatori. Solo uomini che si liberano

Nel discorso del 25 aprile scorso a Vittorio Veneto, il presidente Mattarella ha concluso riportando una frase di Teresio Olivelli, giurista lombardo e partigiano, ucciso a bastonate nel lager di Hersbruck: Lottiamo giorno per giorno perché sappiamo che la libertà non può essere elargita dagli altri. Non vi sono liberatori. Solo uomini che si liberano”.

Mi ha molto coinvolto quest’affermazione, così netta, chiara che fa pulizia di equivoci, incomprensioni, intenzioni mal riposte.

Liberiamoci dall’idea della guerra.

Mi piace ricordare un pensiero di Gino Strada:

La liberazione non è solo la liberazione dall’oppressione, ma è la liberazione dalla guerra.

È la sfida più importante che l’umanità ha oggi davanti per costruire una società solidale, una società giusta, una società in cui tutti possano avere diritto a una vita dignitosa.

A parte il dibattito se sia giusto o meno fornire armi agli ucraini, mi sembra prioritario il problema della vendita di armi.

Nel 2021 la spesa militare nel mondo è aumentata dello 0,7% superando i 2mila miliardi di dollari. I Paesi più spendaccioni sono gli Stati Uniti, la Cina, l’India, il Regno Unito e la Russia (fonte SIPRI).

L’Italia, secondo il report del Governo, nel 2021 ha esportato armi per 4,6 miliardi di euro.

Le vende a 92 Paesi.

Vogliamo costruire ponti di pace? Questo è incompatibile in una società che accetta la produzione di bombe e di armi da vendere.

Lo scrittore indiano Amitav Gosh, simbolo della lotta alla crisi climatica ha aperto il Salone del libro di Torino quest’anno con una lectio magistralis sul valore degli esseri viventi che non sono umani dal titolo “ I non umani possono parlare”?

I non umani sono gli alberi, la natura, l’universo. Essi sono in grado di comunicare?

Certamente. Semmai sono gli umani a non esserlo!

Apriamo finalmente gli occhi sul fatto che, rifiutando di ascoltare voci diverse dalla nostra, ci siamo condannati alla rovina, non solo la nostra ma anche quella dei molti non umani a cui nelle storie narrate dai nostri antenati veniva riconosciuta una voce.

La natura muove i nostri sentimenti.

Dobbiamo abbandonare l’idea malsana che la natura sia nostra, e quindi che il possesso ci dia il diritto di qualsiasi tipo di uso o di sfruttamento.

Vogliamo liberarci di questo arcaico modo di pensare e di agire?

Vogliamo, una buona volta per tutte, lasciare quella maledetta cultura che ci chiede di essere sempre attaccati alle comodità, alle certezze, alla tranquillità? Cerchiamo di essere dentro a una zona di comfort che non abbiamo creato noi e che non funziona sempre.

Per fare questo però bisogna attuare un cambiamento personale e collettivo che non è facile: ma nel nostro Paese ci sono progetti prodotti da persone, imprenditori, associazioni che costituiscono piccole realtà funzionanti e felici.

Vogliamo ribellarci e liberarci dalla mediocrità e superficialità in cui siamo caduti? Quanta fretta di vivere….

Che poi si vive nella passività, seguendo un pensiero conforme, unico?

Nel cambiamento bisogna crederci!

E poi c’è l’Europa che ancora non sentiamo nostra.

Scrive Paolo Rumiz: …Esisti ancora, Europa? Non ti trovo più, tu che sei la mia essenza, la mia fede ma anche il mio infinito sconforto; sedimento di millenni, lingue, religioni, incubi, speranze e convulsioni, dai quali è nata, come per miracolo, l’Idea. Il tuo silenzio è assordante. Ti leggo come un corpo inerte, spezzato e subalterno. Un’alleanza incapace di pensare in grande, ossessionata dalla sicurezza, crocefissa da reticolati, dimentica delle guerre che hanno lacerato la tua carne. Quasi nessuno scatta in piedi al suono del tuo inno

Bisogna vivere l’innamoramento non solo per l’Europa ma per qualsiasi altro aspetto della vita.

E darsi sfide da vincere, innamorandosene.

Da questo passa la nostra liberazione. Dall’innamoramento per le cose della vita.

Più della servitù temo la libertà recata in dono.

Diceva Giuseppe Mazzini.


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