Paolo Pigozzi

Prevenzione sì, ma primaria

Arrivano ogni anno, puntuali, le giornate dedicate alla prevenzione di diverse patologie importanti: diabete, malattie cardiache, cancro, ecc. Grande pubblicità sui media, infinite passerelle di esperti nelle trasmissioni televisive e, spesso, anche mezzi giganteschi e variopinti che sostano, circondati da striscioni e gazebo, nelle piazze centrali di molte città.

Osservo spesso file di persone, quasi sempre anziane, che si sottopongono volentieri ai “controlli”, con la convinzione di star facendo “prevenzione”, cioè di evitare di ammalarsi.

In tempi nei quali l’uso delle parole (in politica, in economia, sulla stampa, su internet) è, per così dire, disinvolto, mi viene voglia di fare una riflessione proprio sulla parola che viene sbandierata durante queste iniziative: prevenzione.Quando, parecchi decenni fa, stavo preparando l’esame di igiene e medicina preventiva, sui sacri testi erano ben distinti tre diversi tipi di prevenzione: quella primaria, quella secondaria e perfino quella terziaria.

Se davanti al professore non avevi chiara questa distinzione rischiavi semplicemente di dover ritentare l’esame nella sessione successiva. Ebbene, molti giornalisti, esperti, tuttologi, imbonitori, frequentatori di Facebook e TikTok e, purtroppo, anche colleghi medici fanno (apposta?) confusione tra i diversi tipi di prevenzione.

Proviamo a ragionare con la nostra testa. La prevenzione primaria consente alle persone sane di rimanere tali e di non ammalarsi.
Le prevenzioni secondaria e terziaria, al contrario, si occupano di chi è già ammalato e deve quindi essere curato, ricoverato, assistito, monitorato per evitare che la malattia progredisca e provochi guai ancora più importanti.

È evidente che la prevenzione primaria non è appetibile per chi (imprenditori edili, costruttori e venditori di macchinari diagnostici, aziende farmaceutiche, manager, ecc.) sulla malattia ci guadagna (lecitamente, beninteso!), perché questa prevenzione utilizza mezzi poveri e quasi gratuiti: cibo semplice e naturale, attività fisica, tecniche di rilassamento, ecc. Tutta roba che, tra l’altro, non fa aumentare molto il PIL. Il check-up, fatto in clinica o in piazza, accerta semplicemente l’eventuale presenza della malattia.
Fatto di sicuro importante, ma che non può tuttavia essere fatto passare semplicemente per “prevenire la malattia”.

Cosa che, nell’immaginario collettivo, invece succede regolarmente: un sondaggio eseguito qualche anno fa ha rivelato che circa il 70% delle donne pensa che la mammografia annulli o riduca il rischio di ammalarsi di cancro al seno.

Il Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025 è attualmente finanziato con 200 milioni di euro l’anno, una cifra ridicola a fronte della spesa complessiva per il Sistema Sanitario Nazionale che supera negli ultimi anni i 120 miliardi di euro. Si tratta di un 600esimo, tra l’altro destinato a tutti gli interventi di prevenzione, primari, secondari e terziari.

Se si spendesse di più per la prevenzione primaria ne guadagneremmo tutti, come comunità e come singoli. Anche economicamente: la prevenzione primaria costa poco e produce salute (e quindi anche ricchezza: “Chi ha la salute è ricco e non lo sa” dice il proverbio). 


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