È tempo di bilanci, ma è veramente difficile fare un bilancio sulla situazione dell’ambiente e della salute nel mondo mentre è in piena diffusione la seconda ondata di Covid-19!
Sarebbe facile limitarci ai numeri: nel mondo, al 10 novembre, ci sono stati oltre 50 milioni di positivi dall’inizio della pandemia, con circa 1,3 milioni di morti, di cui in Italia poco meno di 1 milione di positivi e oltre 40 mila morti. Ma è solo una fotografia sbiadita della malattia, con numeri poco sicuri: per ogni positivo verificato con i tamponi (di cui una buona parte asintomatica), almeno altri 3-4 non sono rilevati, perché asintomatici e senza aver fatto analisi e perfino i dati di mortalità sono poco attendibili perché spesso non sono conteggiate le persone morte in casa, senza alcun alcun tampone, soprattutto nel sud del mondo (ad esempio India, Brasile ed Africa).
Inoltre non è possibile controllare l’attendibilità dei dati forniti da regimi totalitari o comunque autoritari, come Cina, Russia, Brasile, ecc.
A distanza di 10 mesi, incominciamo però ad avere una visione più chiara sulla pandemia: non ha confini, non conosce stagioni e i malati possono avere conseguenze a lungo termine (danni ai polmoni, al fegato, ai reni e al cervello). Inoltre vi sono diverse varianti del virus, tutte molto infettive, e ci si può ammalare anche più volte, a distanza di mesi, cioè l’immunità non è permanente. Il vero problema però è capire come affrontare questa situazione e come uscire non solo dalla pandemia, ma anche dalle cause che l’hanno provocata e da quelle che l’hanno aggravata. In particolare dobbiamo capire la relazione tra ambiente, inquinamento e diffusione del virus e poi perché le strutture sanitarie sono risultate impreparate a questa evenienza. Come ho scritto ad aprile su Biolcalenda, nuovi virus si sviluppano nell’uomo quando riescono a fare il salto di specie, passando, nel caso dei coronavirus, da pipistrelli ad altri animali (anche allevati) e all’uomo: questo salto è favorito dall’alterazione dell’habitat degli animali selvatici, provocato da deforestazione, inquinamento e cambiamenti climatici. Fatto il passaggio all’uomo, il virus si trasmette facilmente, spesso senza sintomi, per via aerea, attraverso le goccioline di saliva. Le persone più colpite da sintomi, come quelli alle vie respiratorie, che possono portare anche alla morte, sono soprattutto anziani e in genere persone con malattie pregresse (diabete, ipertensione, tumori, ecc.). La vulnerabilità delle persone (anziane e non) è spesso indotta dall’inquinamento atmosferico, che causa danni alle vie respiratorie e ridotte difese immunitarie, come documentato da vari studi fatti nelle aree più inquinate del Pianeta: Nord Italia, Cina e Costa Atlantica degli Stati Uniti.
Va ricordato che ogni anno muoiono milioni di persone nel mondo e varie decine di migliaia in Italia a causa di questo inquinamento, che ha origine soprattutto dalle combustioni e che è stato riconosciuto cancerogeno per l‘uomo dall‘Agenzia Internazionale per le ricerche sul cancro.
Uno studio svolto ad Harvard ha dimostrato che, all’aumento di solo 1mg/m3 di PM2,5 sarebbe associato un aumento del 15% nel tasso di mortalità di Covid-19, poiché l’esposizione all’inquinamento atmosferico rende più vulnerabili alla malattia. Così ai morti per inquinamento si sommano quelli per la pandemia!
Purtroppo, anche se le limitate attività conseguenti al lockdown hanno inizialmente ridotto l’inquinamento dell’aria, è bastata la ripresa estiva e poi il riscaldamento ai primi freddi per farci tornare dentro una cappa di smog: a Padova, tra il 10 ottobre e il 4 novembre, per ben 12 giorni abbiamo superato il limite di legge del PM10, peggiorando quanto era già avvenuto nel 2019. Contemporaneamente, anche a causa del freddo e delle scarse precauzioni, abbiamo avuto la seconda ondata della malattia.
Tuttavia la diffusione del virus e delle sue manifestazioni più letali nel nord Italia, non si possono spiegare solo con un forte inquinamento dell’aria, perché questo è solo una delle cause concorrenti. In due Regioni, ugualmente inquinate, come la Lombardia e il Veneto, la diffusione e l’evoluzione della malattia sono state diverse: possibili concause sono la privatizzazione e, in un’ottica aziendalista, il progressivo indebolimento delle strutture sanitarie pubbliche, senza una strategia ispirata alla prevenzione e alla territorializzazione, oltre alla tardiva e oscillante decisione nell’attuare il lockdown, ecc.
Se si vuole affrontare correttamente il problema, non possiamo attendere miracolistiche terapie o fantomatici vaccini (l’immunizzazione nei guariti ha tempi brevi), dobbiamo invece evitare la distruzione degli habitat naturali, ridurre i mega allevamenti (possibili fonti di virus) e prevenire la formazione degli inquinanti, riducendo drasticamente le combustioni. Alcuni esempi: ridurre il traffico privato, favorendo quello pubblico, sostituire le auto con motore a combustione con quelle elettriche o a idrogeno, evitare di bruciare i rifiuti, migliorare l’efficienza energetica delle case, riducendo la quantità di combustibili per il riscaldamento. Occorre anche controllare le fabbriche affinché non inquinino e sostituire sempre di più l’energia elettrica ottenuta da fonti fossili con quella da fonti rinnovabili, che non comportano combustioni.
Per risolvere la crisi occorrerà anche spendere bene i soldi europei del “Recovery Fundâ€, per cambiare il modello produttivo, avviare una nuova politica energetica e industriale, basata sull’economia circolare: questo è il miglior modo per prevenire sia le malattie di origine ambientale che eventuali nuove pandemie e le loro complicazioni, riducendo la fragilità delle persone.