I rituali del fuoco
Marzo è il mese che inaugura l’arrivo della Primavera: al 21 del mese, infatti, cade l’equinozio primaverile. Anticamente in questo periodo si usava propiziare l’inizio della nuova stagione con i riti del fuoco. A Roma, nel tempio di Vesta, il fuoco perenne, che veniva accudito dalle vergini Vestali, veniva spento e poi riacceso per simboleggiare la fine di un ciclo e l’inizio di uno nuovo. Questo rito era comune a molti popoli di stirpe indoeuropea come gli Indiani e i Persiani e rifletteva una concezione arcaica del fuoco come simbolo dell’energia divina che mediante una scintilla ha il potere di suscitare la vita nel mondo. Alla base di questa concezione c’è l’idea del “fuoco nuovo”, che sostiene che tutto ciò che inizia deve partire da un fuoco nuovo, nascente, rinnovatore e si deve fondare sulle ceneri di ciò che è vecchio, passato, corrotto. A questa idea si contrappone l’idea del “fuoco perenne” che afferma invece l’importanza di mantenere sempre vivo il fuoco, perchè la vita umana è intimamente legata ad esso e quindi non va mai spento, non va mai perduto.
Sono due concezioni opposte ma che convivono egualmente: se da una parte c’è questo bisogno di sicurezza dato dal fuoco perenne dall’altro c’è anche il bisogno di rinnovamento che è dato dal fuoco nuovo. Così, accanto ai riti che tendono tenacemente a conservare i fuochi perpetui nei templi dedicati alla divinità , si trovano anche i riti che fanno rivivere l’idea del fuoco nuovo, fuoco giovane e fresco ottenuto per percussione o per frizione che ha il potere di rigenerare tutto ciò che ad esso è connesso: il giorno, la festività , il momento dell’anno, la fase agricola.
Sull’origine di questi riti ci sono due teorie ben distinte. La prima vede nei rituali del fuoco gli ultimi residui di un più antico arcaico culto del sole, la seconda invece sostiene che le potenze chiamate in causa in questi rituali sono le potenze distruttrici che hanno il compito di ripulire, “disinfettare” l’habitat umano dalle presenze negative. Sono due visioni che, molto probabilmente, fanno riferimento ai due aspetti dell’energia solare: l’aspetto vivificatore e rigeneratore noto alle popolazioni del nord, per le quali il sole non può che essere una benedizione, e l’aspetto distruttivo, disseccante che porta la siccità del deserto, esperienza comune alle popolazioni vicine all’equatore. Nel primo caso entra in gioco più l’aspetto “luce” del sole e il rito serve a propiziare a richiamare questo aspetto per stimolare le forze di crescita. Nel secondo caso gioca di più l’aspetto “calore” del sole con il suo potenziale distruttivo e il rito serve a contrastare questa forza negativa con un’altra forza negativa; solo le forze infernali, se ben usate, sanno come debellare altre forze infernali.
Ma ciò che accomuna i vari riti è la funzione del fuoco visto come fattore di rinnovamento e in tale funzione è ripreso dalla tradizione cristiana che associa il cuore umano all’idea del fuoco e solo dal rinnovamento del cuore fa discendere la possibilità per l’uomo di salvarsi. Lo annuncia il Cristo stesso: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso” (Luca 12, 49).