Una buona notizia: di tanto in tanto i miracoli succedono. A volte l’autore, o lo strumento della provvidenza celeste per chi preferisce vederla così, è del tutto ignaro di che cosa abbia combinato o, quanto meno, non si rende conto della portata intera della cosa.
Sia come sia, il saggio se ne infischia del come e del perché e si gode il miracolo.
Nel dicembre scorso, giusto a ridosso di Natale, senza che i cosiddetti mezzi d’informazione informassero più di tanto (fatto, del resto, che rientra quasi ufficialmente nel loro statuto) il ministro della difesa onorevole Ignazio La Russa dice e scrive che ha provveduto a stanziare trenta milioni di Euro in tre anni per i soldati che sono rientrati da quelle che noi chiamiamo "missioni di pace" portandosi a casa una di quelle malattie che fanno parte delle cosiddette sindromi del Golfo o dei Balcani, malattie più che note a chi le ha a qualunque titolo toccate con mano, oggetto di mistero per tutti gli altri.
Io quelle malattie le tocco perché, ormai da anni, mi capita di mettere sotto il microscopio elettronico i pezzetti di carne malata che mi vengono consegnati e perché ho contatti continui con chi di quelle patologie soffre o con i parenti di chi non ne soffre più perché ha lasciato questa valle di lacrime.
Da anni, ho detto, e da anni io denuncio che colpevoli di quelle malattie strazianti sono le polveri finissime che si formano a seguito delle esplosioni delle bombe ad alta temperatura come quelle all’uranio impoverito o al tungsteno. Lo dico perché lo vedo con estrema chiarezza attraverso uno strumento che fornisce informazioni del tutto obiettive.
Ora, la domanda di chi mi legge può essere. "Ma a noi che in guerra, o comunque vogliamo chiamarla, non ci andiamo, che cosa c’importa?"
Beh, c’importa eccome.
Polveri del tutto analoghe a quelle della ex-Jugoslavia, dell’Iraq e dell’Afghanistan sono prodotte generosamente da inceneritori, impianti a biomasse, cementifici, specie se questi ultimi bruciano rifiuti e, ad ogni modo, da tutte le combustioni ad alta temperatura. Certo, una bomba all’uranio fa una nuvola enorme e densa di quelle polveri, ma un impianto come quelli elencati non è, poi, da meno. La sua nuvola sarà meno densa e meno vistosa, ma sarà generata giorno dopo giorno, cronicamente. E le malattie, che insorgono in maniera più lenta e subdola, non sono gran che diverse.
Noi, nel nostro laboratorio di Modena, di malattie da micro e nanopolveri ne vediamo tante, con una casistica che ormai ha sfondato il migliaio, e la cosa più preoccupante è che ci capita sempre meno infrequentemente di vedere dei bambini.
Queste particelle sono una novità per l’ambiente perché la Natura non ne produce o, se lo fa, si tratta di casi eccezionali. Così, per la prima volta nella sua storia di qualche milione di anni, l’organismo nostro e quello degli animali si trova a confrontarsi con questi oggettini minuscoli che entrano per inalazione o per ingestione e finiscono dappertutto, nei vari organi, generando una serie lunghissima di malattie, da quelle cardiovascolari a varie forme di cancro, da quelle endocrine a malformazioni fetali.
Ora, per la prima volta e dopo anni di muro di gomma, lo stato italiano riconosce l’esistenza di un rapporto di causa ed effetto tra quelle polveri e le malattie. Per la prima volta e, sorprendentemente, l’Italia prima al mondo. Cosa di cui, lo ammetto, vado orgoglioso perché quel risultato lo dobbiamo in grandissima parte ai nostri studi e al lavoro di mia moglie, la dottoressa Antonietta Gatti, che da due legislature si batte (gratis) all’interno della commissione senatoriale sulle patologie cosiddette da uranio impoverito affinché si riconosca una verità che è scientificamente innegabile e che è stata negata a prezzo di grotteschi salti mortali.
Venendo a noi, che il ministro se ne sia reso conto o no, adesso la strada è tracciata, le nanopolveri hanno la fedina penale sporca e sarà impossibile assolverle se derivano da altro che non siano le bombe, perché un veleno è un veleno indipendentemente dalla sua provenienza.
Il che è importantissimo. Questo potrebbe o, meglio, deve, costituire il punto di partenza per riempire un vuoto enorme nelle nostre leggi che, fino ad oggi, hanno testardamente ignorato il problema, consentendo in pratica, a chiunque, mano libera nel mettere sul mercato cibi inquinati da quei veleni ambientali quando non, ancor più assurdamente, inquinati da micro e nanopolveri introdotte di proposito.
È il caso di gomme da masticare, di merendine al cioccolato, di dentifrici e così via. D’ora in poi, non solo per motivi di scienza ma anche per motivi di legge, i cittadini italiani dispongono di un precedente per poter pretendere chiarezza e protezione.