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Della verginità del mare

Nel mare finiscono immense quantità di concimi chimici, di diserbanti e di altri pesticidi.
Direttamente o indirettamente usiamo i mari come discariche e ci liberiamo milioni di tonnellate di plastica che sono come spugne per tantissime sostanze chimiche tossiche, così mangiando i pesci “plastificati” mangiamo pure un concentrato di altri veleni.

Il mare color del vino. Lo cantava Omero ma, si sa, Omero era cieco e va perdonato anche se l’immagine piacque e fu ripresa per secoli fino a diventare uno stucchevole stereotipo. I suoi colleghi poeti e scrittori greci, poi, magari fatto passare qualche secolo fino ad arrivare a Odysseus Elytis che se ne andò nel 1996, aggettivavano il mare come “incorruttibile”. Forse di essere incorruttibile il mare avrebbe tutte le intenzioni, ma lo stato dei fatti ne denuncia una corruzione che farebbe impallidire non pochi politici contemporanei. Non è colpa sua, naturalmente, ma tant’è. Gli attentati alla verginità sono tali e tanti che solo un poderoso volume potrebbe contenerli tutti. Ma così, giusto per vederne qualcuno…

Il DDT fu bandito negli Stati Uniti nel 1971 e poco dopo lo fu in parecchi altri paesi che provvidero a “metterlo in sicurezza”. La vecchia Unione Sovietica, per esempio, sistemò tutto sotterrandone 250.000 tonnellate in Siberia con qualche inconveniente di salute non proprio trascurabile a carico dei pur rari abitanti. Ma altrove, specie in Africa, se ne usa ancora parecchio come pesticida. È fin troppo ovvio che le piogge trascinino il composto nei corsi d’acqua e da lì, seguendo un’infinità di percorsi diversi, finisca tutto nel mare. Va da sé che anche quello sepolto, almeno in parte, nel mare ci finisce transitando attraverso falde acquifere e sorgenti. E questa corruzione marina qualche effetto subito vistoso ce l’ha, uno dei quali può cadere addirittura nel pecoreccio con un po’ di orsi bianchi delle isole Svalbard, tra Norvegia e Polo Nord, che si ritrovano ad essere ermafroditi, possedendo gli organi della riproduzione maschili e femminili insieme e rendendosi in qualche modo autosufficienti.

Forse sarà utile sapere che, come accade per il DDT, nel mare finiscono immense quantità di concimi chimici, di diserbanti e di altri pesticidi usati a piene mani, spesso in modo del tutto scriteriato a solo vantaggio di chi fabbrica quella roba, nell’agricoltura “moderna”. A questo si aggiungono i liquami prodotti dagli affollatissimi allevamenti di animali da reddito e i veleni, biologici e non, che si ritrovano concentrati in certi compost frutto delle centrali a biomasse.
Già alcuni anni fa noi facemmo qualche analisi sull’apparato digerente delle acciughe dell’Adriatico, trovandoci metalli pesanti sotto forma di micro- e nanoparticelle in quantità non proprio tranquillizzanti. Naturalmente la notizia non destò l’interesse dei cosiddetti mezzi d’informazione, tutto finì lì, senza che ci si chiedesse da dove mai venisse quella roba e che cosa quella roba potrebbe provocare in chi delle acciughe si cibasse.

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Foto al microscopio elettronico con spettro EDS:
fegato di acciuga. La particella contiene Cobalto,
Alluminio, Tungsteno, Niobio, Zolfo, Cloro, Calcio,
Cromo,Manganese, Ferro

 

Che i pesci siano inquinati non era certo una novità nemmeno allora. Nel 1956 qualcuno prestò qualche attenzione a quanto accadeva a Minamata, una città del sud giapponese. A partire dal 1932 la Chisso Corporation, un’industria chimica, cominciò a sversare nel mare quantità ragguardevoli di metilmercurio, un composto molto semplice del mercurio che si accumula negli animali marini, dai molluschi ai pesci, e che, senza sorpresa, si accumula a sua volta in chi di quegli animali si ciba. Le conseguenze sono atassia, parestesie a mani e piedi, una gravissima astenia, una riduzione del campo visivo, danni all’udito e difficoltà di linguaggio. Ma si arriva pure a follia, allucinazioni, paralisi, coma e morte entro poche settimane dall’insorgere dei sintomi. Aggiungo che il composto passa senza difficoltà da madre a feto con conseguenze non proprio desiderabili. Come accade regolarmente ovunque, ci si occupò della cosa nel modo che oggi si definisce soft, tanto che l’azienda continuò imperterrita a riversare i suoi veleni nel mare fino al 1968. A parte i malati e i bambini con un quoziente intellettivo e altre capacità sotto media, ben oltre 2.000 fu la conta ufficiale dei morti.

E il mercurio è un problema tanto pesante quanto volutamente ignorato. I pesci, senza differenze sostanziali di provenienza, ne contengono in concentrazioni elevate, soprattutto se si tratta di pesci predatori come, ad esempio, i tonni, che si cibano di pesci a loro volta inquinati, in quel modo “superconcentrando” l’inquinante. La cosa è ben nota in ambiente scientifico, tanto che le autorità sanitarie statunitensi dissuadono da anni le donne in gravidanza dal consumare come alimento quel tipo di pesce.
È di qualche mese la pubblicazione del risultato di una lunga ricerca dei veterinari dell’Università di California secondo cui una parte del pesce di cui noi ci cibiamo, altro non è se non un miscuglio di materie plastiche. Il motivo è presto detto: direttamente o indirettamente noi usiamo i mari come discariche, e in quelle discariche ci liberiamo spensieratamente di milioni di tonnellate di plastica (peraltro in gran parte perfettamente inutile come quella usata per le famigerate bottigliette di pioggia, leggi acqua minerale). L’azione dell’acqua sminuzza quegli oggetti in frammenti inferiori al millimetro e, inevitabilmente, i pesci se li mangiano con tutto quanto ne segue. Per inciso, non pochi di quei pesci hanno sviluppato tumori epatici così come, altrettanto sia detto per inciso, accade alle anguille che sguazzano alla foce di certi fiumi. Occorre ricordare che le materie plastiche in genere sono delle specie di spugne per tantissime sostanze chimiche tossiche e, dunque, mangiando i pesci “plastificati”, noi mangiamo pure un concentrato di altri veleni.

Fin dagli Anni Cinquanta, poi, c’è chi nasconde in mare scorie radioattive e rifiuti della più varia natura, non esitando a comprare alcune cosiddette “carrette del mare” per riempirle fino alle estreme possibilità di galleggiamento per poi affondarle. Qualche anno fa, parlando in camera caritatis con alcuni pescatori nostrani, venni a sapere che, almeno in certe zone, si pescano molluschi di colori “strani” e deformi. Sarebbe interessante sapere quante “autorità sanitarie” ne siano informate e quali provvedimenti abbiano preso.

E in mare finiscono le acque di raffreddamento di centrali nucleari sia funzionanti sia dismesse. Beh, quelle acque sono radioattive.
Oggi, poi, tramite procedimenti non proprio chiarissimi ci si disfa di tonnellate di armi chimiche nel Mediterraneo, un mare chiuso che impiega 80 anni a cambiare la propria acqua e, di fronte a questo, mi è impossibile non darmi ancora una volta ragione quando dico che l’Homo sapiens è il più stupido tra gli abitanti della Terra.

Biolcalenda aprile 2014

 


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