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Inutile illudersi

Le polveri che fanno venire il cancro. Lo IARC, ente lionese dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha classificato le polveri grandi da due micron e mezzo in giù al top della pericolosità tra le sostanze cancerogene.

 E’  di pochi mesi fa la comunicazione dello IARC, l’ente lionese dell’Organizzazione Mondiale della Sanità incaricata di studiare e classificare le sostanze cancerogene, che le polveri grandi da due micron e mezzo in giù fanno venire il cancro. Per sottolineare quanto male faccia questa roba le si è ficcate nella Classe I, vale a dire al top della pericolosità.

Forse il mio stupore è solo ingenuità, ma quelle cose, e, tra l’altro, molte di più, perché le patologie in ballo vanno ben oltre i tumori, io avevo cominciato a dirle una quindicina di anni fa. Non per ispirazione celeste le dicevo, né perché io sia dotato di virtù divinatorie né per un rigurgito di fantasia. Le dicevo semplicemente perché era tutto di una chiarezza lampante sotto il raggio imparziale del microscopio elettronico. Del resto era così ovvio!: le polveri, inalate o ingerite che fossero, restano imprigionate nei tessuti (e al microscopio la cosa era e resta indubitabile) e qui si comportano da quello che sono, cioè da corpi estranei. E, allora, il tessuto che le trattiene le isola dalle cellule vicine formando intorno a loro un altro tipo di tessuto: un tessuto infiammatorio che tutta la Medicina è concorde nel riconoscere come potenzialmente cancerogeno. Bisogna solo avere la pazienza di aspettare e la trasformazione è quasi certa. Anni, a volte decenni come avviene, per esempio, con l’amianto, pure lui fatto di nano particelle; a volte mai perché la morte sopravviene prima per altre cause, ma il processo è comunque in cammino. Poi, ricercando, mia moglie (molto più brava di me) ed io trovammo anche altre proprietà piuttosto maligne delle polveri. Per mille ragioni, nessuna delle quali con un barlume di nobiltà, per anni ci beccammo l’etichetta dei ciarlatani. Passò un po’ di tempo prima che, piano piano, arrivasse la Comunità Europea ad incuriosirsi, arrivasse la NATO, arrivasse il Dipartimento di Stato Americano, enti con cui ora lavoriamo. Con circospezione le ovvietà cominciavano ad apparire ciò che erano: ovvietà, appunto. Ma la burocrazia no: quella, come si dice a Roma, è di coccio. E lo è per molti motivi, non ultimo un interesse non propriamente etico di chi con la burocrazia commercia e che la burocrazia è riluttante a deludere.

È così, grazie ai burocrati, ai tecnici e agli pseudoscienziati compiacenti, che l’Italia è diventata il Paese di Bengodi per chi impingua già pingui conti in banca con i falò dei rifiuti e ora – ultimo grido della moda – con quei bubboncini tanto disseminati sul territorio quanto capillarmente devastanti che sono gli impianti a biomasse. Una triste e ormai corposa esperienza personale mi ha fatto incrociare con esasperante frequenza quei personaggi un po’ ignoranti, un po’ beffardi, molto corrotti. Per anni si è andati avanti sbattendo il naso contro un impenetrabile muro di gomma, ma ora? Ora con che faccia di bronzo si continuerà ad affermare come faceva un tale spacciato popolarmente per grande oncologo e perfino per scienziato che le polveri sono innocue quanto un agnellino? Prudenza e onestà vorrebbero che, quanto meno, tutte le pratiche in corso per l’apertura di nuovi impianti venissero incenerite e tutto quello che è in funzione fosse almeno monitorato in modo meno grottesco di quanto non si faccia correntemente. Ma business is business e quel business è smisuratamente grande. E da quel business dipendono posti di lavoro o, meglio, stipendi, e dipendono fiumi di denaro indispensabili per mantenere senza sgradevoli sussulti abitudini ormai tanto inveterate da essere equivocate per diritti. Inutile illuderci: della pur tardiva ufficialità dell’ovvio non si darà notizia, nessuno saprà nulla e tutto continuerà come prima: le polveri? Chissà se fanno poi proprio male.

Di tanto in tanto, però, qualche puntina di iceberg fa capolino dal mare dell’indifferenza popolare. Da un po’ ha acquisito una certa ribalta la situazione della cosiddetta Terra dei Fuochi, il territorio a nord di Napoli che da decenni, senza il gravame del pudore e, dunque, al cospetto del mondo, con la connivenza di politici, forze dell’ordine, controllori e una parte non trascurabile della popolazione locale accoglie con generosa ospitalità i veleni che per le industrie sarebbe costoso e seccante trattare (non riesco ad usare l’ipocrita verbo smaltire) in modo legale. Laggiù ogni notte c’è la coda dei camion e di questo non c’è chi non sappia. Io stesso, che non sono certo messo a parte delle segrete cose della Camorra e della politica, ne scrivo da anni e l’ho fatto addirittura in un libro pubblicato diversi anni fa. Si sapeva tutto e si è fatto finta di niente. Ancora una volta, non ci s’illuda. Se quello della Terra dei Fuochi è diventato un caso relativamente vistoso, l’Italia è tutta costellata di focherelli, piaccia o no saperlo. Basta farsi una passeggiata in città a Brescia, per esempio, per trovare aree recintate in cui è vietato entrare a causa dell’avvelenamento del suolo, un avvelenamento per il quale non c’è rimedio.

Che l’Italia sia un paese insolito credo sia indubitabile. L’Italia è un paese dove morale, giustizia, politica e non pochissima scienza ufficiale recitano insieme, in bell’armonia, in un’interminabile commedia dell’arte di cui non solo non si prevede la messa in scena dell’ultimo atto ma una commedia dell’arte dalle quinte del cui teatro escono a getto continuo nuovi attori.

Qualche settimane fa, insieme con mia moglie, ero in una sala romana della Camera dei Deputati dove era riunita una settantina di persone. Scopo dell’incontro era la proposta d’istituire una sorta di task force di esperti per fronteggiare il problema dell’inquinamento dei terreni, delle acque e dell’aria, con i terreni in prima linea. Al di là del fatto che, sempre nel quadro delle illusioni da non farsi, molti dei siti inquinati sono di fatto irrecuperabili comunque si affronti la questione e proporre bonifiche significa solo convogliare altri quattrini nelle tasche della malavita con tutte le sue ramificazioni, l’idea è la seguente: gli esperti s’impegnano a lavorare per trovare soluzioni al problema, il tutto a loro cura e spese. Insomma, chi ha fatto il guaio mangiando a crepapelle si alza da tavola senza che ci sia chi chiede loro di pagare il conto né, tanto meno, di lavare i piatti. A tutto questo provvederanno altri. Tanto per aggiungere qualcosa di divertente al canovaccio, alla task force parteciperanno gli stessi enti che non avevano fatto il loro dovere di controllori, ci saranno alcune multiutility che di guai se ne intendono essendone produttori a mo’ d’inesauribile cornucopia, e ci sarà pure una manciata di politici di cui taccio per decenza e per l’ultimo brandello di patriottismo. Difficile non coltivare il sospetto che tutti questi, peraltro attivi a spese pubbliche a differenza degli esperti veri che lavoreranno a titolo di volontariato e mettendoci pure i quattrini, possano avere tutto l’interesse a zavorrare l’attività, non fosse altro che per mimetizzare le loro responsabilità pregresse e – perché no? –  magari per dare una mano a qualche amico appaltandogli le impossibili bonifiche.

Biolcalenda gennaio 2014


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