Sulle Biotecnologie si abbatte il ciclone Rifkin

Non ha utilizzato mezzi termini Jeremy Rifkin, presidente della Foundation on economic trends di Washington (Usa) e soprattutto autore del libro "Biotechnology century" (Il secolo delle biotecnologie) divenuto in breve tempo un best seller un po' ovunque nel mondo.

Incontro Rifkin in una saletta della fiera di Verona, fuori una coda di giornalisti che attendono il turno per parlare con colui che è stato definito il "guru" delle biotecnologe. Sarebbe forse più corretto parlare di coscienza critica della biotecnologie in quanto Rifkin nutre molti timori sul loro utilizzo.

L' Europa – chiedo subito a Rifkin – sta affrontando il tema delle biotecnologie in agricoltura con uno spirito decisamente più vigile rispetto agli Usa. E' l'Europa ad essere eccessivamente preoccupata o sono forse gli Usa a essere troppo "superficiali"?
Innanzitutto va detto che anche negli Usa le preoccupazioni sono moltissime, ma non vengono pubblicizzate. Sono arrivate centinaia di migliaia di lettere di protesta da parte di associazioni di consumatori, produttori, opinion leader agli organi legislativi americani, ma sono rimaste inascoltate. Negli Usa, infatti, l'unico arbitro è il mercato e i politici americani, per la maggior parte, rispondono ai grandi interessi economici, alle varie lobby di potere finanziario. Per questo sono felice quando sento che in Europa ci si sta preoccupando seriamente dell'utilizzo spregiudicato delle biotecnologie in agricoltura. In Europa, infatti, esiste una maggiore coscienza sociale e la politica economica è maggiormente legata alle diverse esigenze dell' umanità. Ho visto, quindi, con estrema soddisfazione la scelta del Governo italiano di affiancarsi a quello olandese per ottenere l' annullamento della direttiva 98/44 sui brevetti tecnologici

L'Europa sarà anche più attenta al sociale, ma intanto la disoccupazione dilaga e il numero dei Governi della cosiddetta sinistra illuminata, da Blair a Jospin, da D'Alema a Schroeder, non sono riusciti a trovare una giusta ricetta in questo senso.
Ma non è certo con una liberalizzazione totale, acritica, senza regole che si può creare occupazione. Gli Stati Uniti ne sono un esempio. Da noi, infatti, l'occupazione è in realtà una sottooccupazione. Per la maggior parte si tratta di lavori part-time o comunque a tempo determinato.
Togliere regole e controlli al mercato significa creare disastri sotto ogni punto di vista.

Ma torniamo alle biotecnologie in agricoltura. Perché le fanno così paura?
Soprattutto per due motivi. Il primo è di ordine scientifico: fino ad oggi non esistono garanzie sulla innocuità dei prodotti transgenici, specialmente quando si attua una manipolazione genetica tra organismi molto diversi tra loro. Non esistono garanzie soprattutto a media e lunga scadenza. Non a caso anche le compagnie di assicurazione negli Usa si sono rifiutate di assicurare le multinazionali con polizze di copertura maggiore di un anno sui prodotti transgenici. A tutt'oggi, inoltre, in materia di biotecnologie per l'agricoltura non si sa chi sia il responsabile al quale rivolgersi in caso di disastro ecologico.
Ma l'altro aspetto che mi terrorizza è la concessione dei brevetti dei geni. I geni, infatti, non possono essere né dei governi né delle multinazionali. Si può avere il brevetto del processo per avere qualcosa ma non il risultato finale.
Non si può essere proprietari dei geni che non sono delle invenzioni, ma appartengono alla natura.

Ma le multinazionali sono proprio degli orchi spaventosi?
Loro rispondono alle logiche di mercato: hanno capito che chi controlla i geni controlla l'economia e non a caso in questi ultimi anni abbiamo assistito alla rincorsa dell'acquisizione delle società sementiere.
Il passaggio a società delle cosiddette scienze della vita, abbandonando in parte o completamente il comparto chimico, non è certo stata una scelta filosofica. Così oggi il mercato delle sementi è in mano a poche multinazionali che condizionano tutto il settore.

In che modo?
Con le varietà transgeniche la multinazionale sementiera non vende più le sementi ma le affitta agli agricoltori attraverso una sorta di leasing. Per la prima volta nella storia dell'umanità gli agricoltori non sono più proprietarti della semente e, anzi, sono diffidati e denunciati se la reimpiegano.

Cosa consiglia quindi alle autorità italiane che ancora non hanno preso una decisione definitiva in materia di biotecnologie in agricoltura?
Ho già chiesto al ministro per le politiche agricole Paolo De Castro e al presidente del Consiglio Massimo D'Alema che sia proprio l'Italia il primo paese al mondo a dire no ai brevetti sul patrimonio genetico e no a varietà di sementi "terminator" (varietà i cui semi si riproducono solo una volta).

Non teme di essere considerato un apocalittico contro il progresso scientifico?
Non sono assolutamente contro il progresso scientifico. Ma chiedo solo una grande prudenza e che una materia così importante per l' umanità non sia gestita da un esiguo numero di società private.
Voglio risposte scientifiche certe, per esempio, su cosa succede mescolando geni di organismi molto diversi fra loro, se inserire geni per la tolleranza agli erbicidi non possa determinare pericolose resistenze, ma soprattutto chiedo di sapere chi è il responsabile a cui rivolgersi se le cose andranno male come io temo. Mi chiedo inoltre se non sarebbe più conveniente per l' umanità utilizzare questi enormi fondi, usati per la ricerca biotecnologica, per maggiori approfondimenti scientifici sul versante dell'agricoltura biologica.

L'agricoltura biologica stenta a decollare e in molti ambienti, anche scientifici, è considerata come una sorta di utopia per pochi idealisti.
Negli Usa l'agricoltura biologica rappresenta oggi un fatturato di circa 4 miliardi di dollari e cresce con una velocità di circa 20% all' anno: questo perché i prodotti biologici rispondono esattamente alla richiesta della classe media dei consumatori americani. E' falso quindi chi porta indagini sui consumatori che farebbero presupporre un interesse e una richiesta verso prodotti manipolati geneticamente. Lo conferma il fatto che i rari prodotti contrassegnati da etichetta che riporta l'utilizzo di ogm rimangono invenduti sugli scaffali. Se il futuro dell' agricoltura sarà affidato alle biotecnologie io temo che risulterà uno dei maggiori fallimenti e disastri di questo secolo, forse il peggiore.

Tratto da L'Informatore Agrario n.8/99


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