Un po’ intimiditi, stavamo tutti seduti nel piccolo anfiteatro dell’università . Nessuno della ventina d’iscritti conosceva gli altri. La preside di facoltà ci dava il benvenuto. Solo dopo, a tempo debito, al terzo anno, ci avrebbe torchiati tutti per bene.
Di quel discorso ricordo solo due concetti. Il primo: “Il lavoro che vi accingete a fare sarà giustificato solo se mirerete al bene di chi si rivolge a voi”. Insomma, Ippocrate per i principianti che eravamo. Il secondo concetto: “Non esistono farmaci privi di effetti collaterali. Quando ne somministrate uno, mettete su un piatto della bilancia l’effetto che sperate di ricavare e, sull’altro piatto, la lista di quanto quel farmaco potrebbe essere causa”.
È passato più di mezzo secolo ma Ippocrate è ancora quello di un tempo e ai farmaci rimangono invariate le stesse caratteristiche. Del resto, è la loro stessa etimologia a rivelarcelo con chiarezza: ???????? (fà rmakon). Medicinale, sì, ma anche veleno e – guarda un po’ – espediente per ottenere qualunque cosa, per illecita che sia. Un significato che si trova sui vocabolari ma tanto abolito dalla memoria collettiva quanto profetico.
Di tanto in tanto i giornali riferiscono del ritiro di un prodotto medicinale, magari uno di quelli che i medici avevano entusiasticamente prescritto per molti anni. Il perché è semplice: il piatto “cattivo” della bilancia era troppo pesante e non si poteva proprio continuare a far finta di nulla.
Qualcuno potrà trovare curioso che ci se ne avveda solo dopo tanto tempo e, non proprio di rado, a fronte di migliaia di morti, ma forse è opportuno sapere che le cavie delle sperimentazioni, quelle che dicono davvero qualcosa, sono i pazienti stessi, e per gli esperimenti sull’uomo occorre tanto tempo. Ed è anche opportuno sapere che solo un’infima parte di quei ritiri riceve qualche, sempre brevissima, pubblicità . A volte il produttore viene pure condannato a pagare penali apparentemente salatissime per “sanare” il guaio ma, di regola, il denaro che ha incassato prima che ci si accorgesse del problema è di gran lunga superiore a quello relativo alla pena. Insomma, conviene.
A proposito di sperimentazione, è ormai tradizionale sentire qualche “luminare” che rassicura il popolo: niente è più controllato e sperimentato dei vaccini.
Lasciando da un canto i controlli che, ahimè, se esistono, sono fatti in modo a dir poco superficiale, visto che in quei prodotti, da anni, noi ci troviamo regolarmente inquinanti che sfiorano il grottesco, forse non è tempo perso illustrare brevemente e semplificando al massimo il perché i vaccini non sono mai sperimentati.
I farmaci con intento terapeutico sono sperimentabili secondo un metodo che, in gergo tecnico, è chiamato doppio cieco. Si prende un gruppo, possibilmente numeroso, di persone che soffrono di una determinata malattia e lo si divide in modo del tutto casuale in due sottogruppi.
Ad un sottogruppo si somministra il farmaco in sperimentazione e all’altro un placebo, vale a dire qualcosa che ha le sembianze del farmaco ma che non contiene il principio attivo. Nessuno, né le cavie umane né i somministratori, deve essere al corrente di ciò che viene effettivamente assunto. Alla fine della sperimentazione si comparano i due sottogruppi per vedere chi dei soggetti è guarito, chi è migliorato, chi non ha avuto effetto, chi è peggiorato e come.
Gli addetti ai lavori sanno che i risultati di quel sistema, apparentemente perfetto, sono inficiati da un’infinità di trucchi, ma così è. Fatta la legge…
Se ci si trova a sperimentare i vaccini, le cose cambiano di parecchio. Le cavie umane (devono essere umane perché il morbillo, la varicella, la pertosse e, insomma, le nostre malattie infettive, non colpiscono gli animali che soffrono, invece, di altro) sono necessariamente sane, visto che l’obiettivo dichiarato del vaccino non è la cura ma la prevenzione.
Detto per inciso, di tanto in tanto si sente parlare di vaccini curativi: una vera e propria bestialità . Trattandosi di soggetti sani, non è affatto detto che questi, vaccini o no, si ammalino di quella malattia. Dunque, occorre lavorare su base statistica, con i numeri che la statistica pretende se vuole essere in qualche modo credibile, cercando di pronosticare quanti hanno probabilità di ammalarsi. Ecco, allora, una prima possibilità di errore grossolano di cui si avvede chiunque sappia quanto enormemente è mutevole la variazione di morbilità delle malattie infettive nel tempo.
Ma, se mai questi soggetti si ammaleranno, entro quanto tempo lo faranno? Potrebbe trattarsi di anni, di decenni… Ovviamente, di mai. E, allora, una sperimentazione dovrebbe protrarsi per tempi lunghissimi e, comunque, darebbe sempre risultati opinabili. Peggio ancora quando si tratta di vaccini rivolti a più ceppi della stessa malattia (non di rado oltre la decina) o a malattie diverse come è il caso dei vaccini polivalenti che tanto successo commerciale ed emotivo ottengono. Dunque, se si volesse davvero sperimentare un vaccino contenendo l’errore entro margini tollerabili, occorrerebbero milioni di soggetti e decenni. Troppo. E, allora, che si fa? Semplice: non si fa niente. Sì: nessun vaccino è sperimentato. Al più, s’inietta il farmaco a qualche animale che, ovviamente, non potrebbe mai dare alcuna risposta circa l’effettiva efficacia, e si aspetta qualche giorno per vedere se la bestia sopravvive o se, comunque, mostra effetti strani.
Dal punto di vista medico l’interesse è pressoché nullo, ma questo “disturbo” che il produttore si sobbarca serve a “dimostrare” ai più che indulgenti controllori e al popolo che il prodotto è stato sperimentato. A volte, per puro “zelo”, si somministra per un po’ di tempo il prodotto a soggetti del Terzo Mondo e se, come non proprio raramente capita, la diffusione della malattia non muta o diventa più vivace, basta far finta di nulla. I morti? Nessuno è chiamato a renderne conto.
Esistono, poi, vaccini sui quali, anche volendo, non sarebbe comunque possibile condurre sperimentazioni. Mi riferisco a quelli contro l’influenza, prodotti che più di una volta hanno dimostrato palesemente una totale inefficacia quando non qualcosa di peggio. Sperimentazione impossibile perché i ceppi virali coinvolti mutano con grandissima rapidità e, da un anno all’altro, si tratta di virus di fatto diversi. Così, stante proprio questa velocità di mutazione, oltre all’impossibilità tecnica di sperimentazione, non si riesce a mettere in circolazione un vaccino contro i virus correnti. E, allora, il prodotto che viene iniettato è quello preparato su vecchi virus ormai non più in circolazione. Quindi, si fa un atto di fede.
Tutto quanto detto è perfettamente conosciuto dagli addetti ai lavori ma non dal grande pubblico di cavie paganti.
In conclusione, raccontare che i vaccini sono sperimentati è una fandonia che supera ogni livello di presa per i fondelli ma, in un certo senso, è utilissima. Ci permette, infatti, di valutare senza errore la preparazione tecnica e l’onestà di chi pronuncia quell’enormità .
L’ingenua domanda sul perché, allora, si continua a vaccinare addirittura per obbligo ha una sola risposta: come tanti anni fa cantava Liza Minnelli, “money makes the world go ‘round:” è il denaro a far girare il mondo e, se un prodotto non richiede investimenti per la sperimentazione, non è controllato, non è gravato da responsabilità civili né penali e non deve neppure cercare clienti perché i clienti sono in larga misura obbligati ad esserlo e, comunque, la pubblicità è fatta a spese dei contribuenti, ecco che il mondo gira vorticosamente.