Capsella bursa-pastoris (L.) Medicus
Fioritura: primavera
Parti raccolte: parti aeree
Tempo di raccolta: tutto l’anno
Etimologia
Come riconoscerla
Il nome del genere è capsella e deriva da capsa=borsa, per la forma che assume il frutto; bursa-pastoris è il nome della specie e rinvia alla somiglianza che ha con la bisaccia del pastore. Questo binomio le è stato attribuito da Medikus, uno studioso di botanica tedesco (XVIII se,).
Bussoletta Botanica
Come riconoscerla
Erba biennale con fusti eretti alti circa mezzo metro, foglie basali riunite in rosetta, le lanceolate, profondamente incise. Pelosette, in primavera e in autunno appiattite sul terreno, I fiori appaiono in primavera e sono molto piccoli, biancastri, raccolti in infiorescenze. I frutti nella loro forma ricordano le antiche bisacce che i pastori portavano a tracolla. All’interno vi sono due semi.
Dove osservarla
Campi coltivati, terreni incolti, margini di strada, terreni smossi;
Frammenti di etnobotanica
Usi alimentari:le foglie basali vengono consumate cotte, in minestroni e nelle frittate, o crude, in insalate miste con tarassaco (Taraxacum officinale L.), radicchio selvatico (Cichorium intybus L.), ortica (Urtica sp.pl.), la sanguisorba (Sanguisorba minor Scop) e condite con olio d’oliva e aceto oppure “ripassate” in padella con olio ed aglio.
Usi artigianali:in tempo di carestia dai semi si ricavava un olio. Il succo fresco faceva rapprendere il latte.
Usi magici:in caso di febbri si tagliuzzavano le foglie fresche, si pestavano e mescolavano con un poco di aceto forte e di sale, l’impiastro era applicato e fasciato ai polsi del paziente per 24 ore ed eventualmente rinnovato in caso di attacco febbrile;
Usi medicinali:per la sua elevata forza astringente viene consigliata da molteplici erboristi sia per arrestare le perdite ematiche, per la dissenteria e anche per regolare la pressione arteriosa. Una mezza manciata di questa erba fresca veniva bollita in tre tazze di acqua fino a ridurla ad un terzo: il decotto era assunto oralmente nel corso di mezza giornata e regolava il flusso ematico mestruale della donna particolarmente durante la pubertà e la menopausa; quel decotto veniva assunto oralmente nella dose di un paio di cucchiaini da caffè per una diecina di giorni prima del termine del ciclo; lo stesso decotto veniva bevuto come antipiretico, come antiipertensivo e, dopo il parto, per evitare il rischio di qualche emorragia, ma veniva assunto oralmente anche contro la malaria. Essiccata e ridotta in polvere nel mortaio, serviva per stagnare il sangue dal naso e per cicatrizzare le ferite recenti che si lavavano e disinfettavano; introdotto nelle narici arrestava l’epistassi. Le foglie contuse erano applicate sulle ferite ove svolgevano un’azione emostatica. Le stesse, masticate crude, hanno un sapore acidulo piccante che provoca abbondante salivazione. Il Prete di Sprea per regolare la pressione arteriosa usava la seguente formula:” Borsa del pastore g.20, gramigna g. 35, bardana, radice g.30, ginepro bacche g. 10, equiseto g. 20, biancospino g.20, artemisia g.20, prezzemolo g.20. Bollire il tutto in un litro e mezzo di acqua per dieci minuti. Prenderne una o due tazzine al giorno”.
Usi liquoristici: un pugno di foglie sminuzzate erano messe a macerare in una grappa che veniva esposta al sole per dieci giorni; il filtrato era frizionato più volte al giorno, nei casi di atrofia muscolare.
Ricetta Storica
“Un uso particolare della pianta fresca in caso di febbre malarica: “Questo modo di cura dicesi epicarpico, usato dai tempi antichi fino a circa 60 anni indietro dai medici. So che i medici recenti vi hanno riso sopra. Ciò non toglie la verità del fatto… Il dott. Claudio Sagretti mi esponeva, poco fa, un fatto avvenuto in sua famiglia. Suo padre aveva un terreno nella campagna romana, che era coltivato da contadini marchegiani, che vi giungevano ogni anno a questo scopo. Ora, tornati al lavoro, trovarono il padre malato di forti febbri malariche, resistenti al chinino. Uno di questi disse che l’avrebbe guarito facilmente senza medicine. Girò per la campagna e riportò alcuni rami freschi di una pianta, che legò attorno ai polsi e sulla pianta dei piedi del malato: questo dichiarò che gli sembravano conficcarsi nella carne; vi furono tenuti tutto il giorno e la notte. Il giorno dopo la febbre era scomparsa, e il malato guarito. Il figlio stesso, medico, non sapeva spiegare come ciò fosse avvenuto, ma il fatto era evidente, e non si poteva negare.”Giuseppe Antonelli, nel suo libro Le piante che ridanno la salute, 1941, a p. 267,