Scienza e verità

Da che l’uomo è arrivato a fare ragionamenti complessi è diventato l’unico animale, stando a quanto appare, capace di filosofia. Una delle domande (oziose?) che si è sempre posto è se esista qualcosa che possiamo chiamare realtà, vale a dire qualcosa che esiste davvero, non importa se in modo necessario o in modo contingente.È fin troppo ovvio che sull’argomento io mi taccia perché, se mai mi pronunciassi, sconfinerei dalle mie competenze e ricadrei nel grottesco peccato dei tuttologi televisivi tanto di successo al momento.

Il mestiere che io faccio da quasi mezzo secolo è quello di scienziato: un mestiere tutto sommato rozzo perché chi lo pratica è obbligato a procedere lungo binari da cui non si può deragliare, dove tutto va dimostrato, dove tutto è ripetibile e dove ogni passo implica il confronto con qualunque obiezione, a patto che l’obiezione sia espressa da chi accetta senza condizioni le regole del gioco. Insomma: qualcosa di onesto dove l’onestà non ha aggettivi ma è solo se stessa.

Per arrivare alle ovvietà cui ho accennato l’uomo ha impiegato millenni. Anassagora di Clazomene fu condannato per empietà perché aveva osato dire che la Luna era un corpo solido di natura minerale. Eravamo ad Atene duemilacinquecento anni fa. Inutile, poi, ricordare i “problemi” di tanti scienziati a volte ante litteram, un gruppo di cui Galileo, lui scienziato davvero, è certo il più noto a tutti.

Il perché dei “problemi” è presto detto: la verità scientifica, quella che, al di là delle elucubrazioni filosofiche, è quella che poi ha come figlia la tecnologia di cui ci serviamo quotidianamente da che mondo è mondo, non è sempre benaccetta da parte di chi gestisce il potere, un potere che può essere indifferentemente religioso o temporale. Un potere che ha sempre, in modo più meno marcato, risvolti che coinvolgono il denaro.
Nella contingenza storica in cui stiamo vivendo gli esempi di scienza sgradita sono numerosi. Fra i tanti l’innocuità dell’amianto sostenuta a suon di articoli “scientifici” pubblicati sulle maggiori riviste accademiche per poi cadere a suon di morti. Così è per il piombo tetraetile della benzina o per i clorofluoro carburi dei condizionatori d’aria e delle bombolette spray. E che dire quando, negli Anni Cinquanta, il tabacco preveniva il Parkinson?

Il settore in cui la verità scientifica trova i maggiori ostacoli è una disciplina che, a rigor di definizioni, scientifica non è. Parlo della medicina: una branca della conoscenza alla quale manca la ripetibilità, cioè uno dei pilastri della scienza. Non è scienza ma della scienza si serve e i suoi praticanti devono esserne perfettamente consci.

Nei secoli la medicina ha fatto certamente dei progressi, ma ha pure commesso errori che sono costati caro: dai metalli pesanti (mercurio, piombo…) usati a sproposito ai salassi ai primi impieghi dei raggi X. Questo solo per nominare appena qualcuna delle corbellerie.

La fortuna dei medici e, soprattutto, dei pazienti è l’esistenza dell’omeostasi, cioè della tendenza di tutti gli esseri viventi a riportarsi in condizioni di salute in modo naturale e, come diceva il mio maestro, il professor Luigi Di Bella, “nonostante le vostre cure, la maggior parte dei vostri pazienti guarirà.”
Se da sempre gl’interessi economici e di potere hanno influenzato la medicina, mai come oggi la cosa si è rivelata pesante. Da anni le industrie farmaceutiche sono diventate in larga misura padrone del mondo usando il loro strapotere economico, uno strapotere grazie al quale possono distorcere a loro piacimento non certo i fatti ma la loro percezione.

È così che la corruzione in campo medico è ormai imperante. Richard Horton (The Lancet) e Marcia Angell (New England Journal of Medicine) sono concordi nell’affermare separatamente uno dall’altra che metà di ciò che si pubblica in campo medico è falso. Molto modestamente, da vecchio addetto ai lavori, temo che ad essere falso sia molto più della metà. Basti soffermarsi un attimo sull’enormità di quella che viene chiamata “immunità di gregge”: un concetto che, nato assurdo, è diventato presto truffaldino. Non solo manca qualunque dimostrazione della sua validità, ma tanti dati disponibili dimostrano quanto meno la sua inesistenza.
Eppure, quel principio viene accettato incondizionatamente non solo dalla classica casalinga di Voghera ma da numerosissimi medici e dai legislatori i quali, su quella base, emanano regole cui si ha l’obbligo di attenersi.
Negli ultimi mesi, poi, stiamo vivendo (sopravvivendo) in una specie di tragedia dell’assurdo.

Non voglio entrare in polemica con ciò che è stato fatto tra diagnosi e terapia per ciò che riguarda l’“epidemia” (virgolette) da Coronavirus. Mi limito a chiedere spiegazioni che reggano scientificamente a proposito dell’imposizione autolesionista delle mascherine, di quella dei guanti a dir poco controproducente per la comunità, del cosiddetto lockdown e del “distanziamento sociale”. Non vorrei spiegazioni basate sull’isteria collettiva o sull’arroganza di chi tiene le chiavi delle catene. Vorrei qualcosa che regga a qualunque obiezione. Piaccia o no, così funziona la scienza.

Aggiungo solo un’osservazione. Il comportamento imposto sta incidendo pesantemente sulla psiche dei bambini: una psiche in formazione sulla quale certe distorsioni e certe ferite restano per sempre. Ora non sono pochi i bambini allevati nella convinzione che il prossimo, di chiunque si tratti, sia un nemico la cui semplice vicinanza costituisce potenzialmente un pericolo di morte.  Questi bambini che forse, se passerà la follia di quell’imposizione, andranno a scuola mascherati e ci andranno a giorni alterni per tenere le distanze reciproche, per tristemente farsesca sia la regola, probabilmente faticheranno a ritrovare l’equilibrio della loro psiche.
Ho lasciato da parte la violenza fatta a tante leggi, Costituzione in primis. Ho lasciato da parte il disastro economico che ha fatto piombare nella miseria tante famiglie e la zavorra che l’imposizione di regole assurde costringe a sopportare.

Mi sono limitato ad osservare qualche aspetto e per questo mi appello all’articolo 21 della Costituzione nella speranza che nessuno osi calpestare platealmente anche quello. Il disastro è indiscutibile. Chi pagherà?


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