“Dalla terra nacquero le erbe, dalle erbe del cibo, dal cibo il seme, dal seme l’uomo.
L’uomo è dunque l’essenza del cibo.
Dal cibo sono prodotte tutte le creature, con il cibo esse crescono.
Il sé consiste di cibo, di respiro, di anima, di comprensione, di beatitudine”.
(Taittiriya Upanishad, 2.1.2)
In genere, quando parliamo di cucina e di trasformazione degli alimenti, mettiamo in evidenza le trasformazioni chimiche e fisiche che le sostanze e gli ingredienti subiscono e, dal punto di vista alimentare, le componenti nutrizionali: carboidrati, lipidi, proteine e micronutrienti.
Questo è certamente un aspetto importante da considerare, ma non credo sia l’unico.
Il cibo è il veicolo della nostra relazione con il mondo. Attraverso il cibo, che è mondo organico “per noi”, costruiamo il mondo organico “in noi”. Grazie al cibo entriamo nella vita e alimentiamo vita. Quello che in una visione strettamente materialistica è spesso messo sotto traccia, ma che invece viene posto in chiara evidenza dalle antiche scuole di dietetica, è che il cibo ci mette in relazione, in “comunione”. Attraverso il cibo e la sua trasformazione, che divide il mondo dell’uomo da quello animale, noi agiamo e segnamo la nostra presenza.
Io credo quindi che l’alimentazione sia sostanzialmente un fatto relazionale, che si sostanzia in almeno tre diverse forme.
La prima è quella tra noi e gli ingredienti, che possiamo esplorare, conoscere, apprezzare, distinguere nella loro intima essenza, quasi facendoci suggerire da essi stessi come possono essere valorizzati, prendendocene cura.
Se noi non potessimo entrare in relazione con le “cose” in modo intuitivo, poetico, attraverso una conoscenza che non è quella di un arido calcolatore, non potremmo neppure “pensarle” e immaginarle in una ricetta.
Se noi stessi non fossimo costruiti della stessa sostanza di pensiero e immaginazione non potremmo averle disponibili. A livello intuitivo questo porta a mettere in relazione il nostro mondo interiore con gli ingredienti non per il loro gusto specifico, ma per la loro intima essenza: da questa intuizione derivano espressioni come “Buono come il pane” o “Spirito di patata”.
I cibi diventano leggibili per come possiamo intuire la relazione con loro, per la legge stessa di cui siamo formati anche noi.
Il secondo livello della relazione è quello con la nostra comunità di uomini, perché attraverso il cibo e la sua trasformazione comunichiamo, riconosciamo umanità, ci esprimiamo.
Sappiamo che offrire cibo, preparare cibo, ricevere cibo, è il modo delle culture e delle religioni da sempre per creare comunità. A tavola, mangiando insieme, condividiamo un percorso comune. Per rimanere solamente nell’ambito cristiano, il primo miracolo con cui si manifesta Gesù Cristo è la trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana, l’ultimo nel quale si manifesta è la sua presenza nella particola di pane azzimo. Ma anche il Buddha ritorna in relazione con il mondo, dopo il suo periodo di ascetismo nella foresta, accettando in dono del riso. La nostra relazione comunitaria passa anche attraverso il cibo.
L’ultimo livello della relazione è infine quello con noi stessi: la risposta che abbiamo NOI, nella nostra interiorità, di fronte a un ingrediente o a un piatto, di fronte a un gesto di preparazione, al desiderio di un gusto piuttosto che di un altro, che sia salato, dolce, agro, saporito o delicato.
Il cibo che mangiamo e prepariamo è una voce che dice qualcosa di noi stessi a noi stessi. Ci si conosce solo attraverso un “ostacolo”: noi possiamo comprendere i nostri limiti (e quindi conoscerci) se troviamo nella nostra espressione vitale un elemento di contrasto che ci dice che fisicamente noi siamo fino a lì, oltre di noi c’è questo. Il cibo è fisicamente mondo esterno che contrastiamo per assimilare e farne parte in noi, cucinare è trasformare il mondo per renderlo parte in noi. La relazione con il cibo ci racconta chi siamo, cosa ci serve per essere noi stessi.
Non si tratta ovviamente di trascurare la dimensione materiale del cibo, ma di cercare di cogliere l’intima essenza del nostro essere materia, di cui siamo costituiti sia noi che il cibo, fondandosi sulla sua poesia, sulla vita interiore che la anima: perché la scienza materialistica vede quello che è visibile ma l’essenziale, come diceva il “Piccolo Principe” di Antoine de Saint Exupery, è invisibile agli occhi.
Per vedere veramente ci serve il cuore.
Riso per l’estate e i quattro mondi
Un nome di fantasia per fare emergere le espressioni che gli ingredienti costitutivi di questo riso estivo presentano: abbiamo infatti tra di essi radici, foglie, fiori e frutto-semi, quattro diversi livelli di espressione della pianta. Si tratta di un semplice piatto unico per l’estate molto piacevole e gustoso
Ingredienti per 4 persone: 240 grammi di riso rosso integrale, una manciata di pistacchi, 2 zucchine (frutta e semi), 2 carote e un quarto di sedano rapa (radice), dell’erba cipollina (foglie), 4 fiori di zucca (fiori). Olio, salsa di soia, limone, sale q.b.
Preparazione: cucinate il riso con 2 parti di acqua salata o brodo. Grattate e saltate separatamente in padella antiaderente le zucchine, le carote, il sedano rapa e metteteli da parte.
Mettete in padella il riso cucinato con metà dei pistacchi interi e le verdure. Saltate a fuoco vivo con olio e salsa di soia, aggiungendo alla fine qualche goccia di limone. Servire guarnendo con i fiori di zucca tagliati fini e fritti a parte e con il resto dei pistacchi tritati e tostati.
Grazie del Gusto!