“Il carciofo dal tenero cuore si vestì da guerriero, ispida edificò una piccola cupola, si mantenne all’asciutto sotto le sue squame, …”
Sì, Neruda! Il carciofo che parla al poeta e si esprime!
Questo fanno i poeti. Ascoltano. E raccontano quello che hanno ascoltato. Ecco, ascoltate anche voi gli ingredienti. Siate poeti. E siate autentici. Cosa significa per noi un carciofo, e cosa significa autentico?
Cominciamo dal carciofo.
Un carciofo è un carciofo, ovvero le sue qualità e caratteristiche. Può essere spine. Può essere amaro o dolcezza, se trasformato. Può essere fibra, scorza dura, può essere crema.
Un ingrediente da trasformare ci viene offerto tramite le sue caratteristiche e noi dobbiamo osservarlo con attenzione, ascoltarlo, cogliere le caratteristiche e offrire a nostra volta la nostra qualità: quella della trasformazione.
Così, anche un semplice carciofo a cui dessimo “del tu”, di cui penetrassimo l’intima essenza, può diventare gioia, condivisione, vita (Vivande!). Relazione.
Vi ricordate, se l’avete letto o visto il film tratto dal libro, “Il pranzo di Babette” di Karen Blixen? Se non l’avete visto o non lo ricordate, riguardatevi la trama almeno.
I commensali, costretti in una vita povera e grigia, priva di piaceri e di “Relazione” vera e autentica con le cose, vengono sconvolti dalla capacità di Babette di trasformare ingredienti in Vivande vere, vitali, che creano una possibilità di gioia e di vita tra i commensali incupiti. Nonostante la vita di Babette sia stata funestata nel passato dall’uccisione del figlio e del marito, giustiziati ai tempi della Comune di Parigi, lei è capace di gratitudine e di dono, investendo nel pranzo tutta la grossa vincita ricevuta alla lotteria. Perché? Perché un poeta o “un artista non è mai povero”. È autentico.
Siate artisti. Siate poeti, in cucina. Siate autentici.
Se cogliete l’assenza degli ingredienti che lavorate, voi siete degli artisti e siete autentici.
Ma cosa significa, in realtà, “autentico”?
È una parola di origine greca che deriva da Autòs (Egli stesso, se stesso) ed Entòs (in, dentro).
Indica quindi qualcosa che si esprime per quel che è egli od esso stesso, che non ha infingimenti.
Una cucina autentica quindi si potrebbe definire come una cucina che racconta qualcosa di se stessa, che non usa barocchismi o artifici per dire quello che non è, manifestando in modo schietto e sincero dei valori che si vogliono in essa.
Un piatto autentico è un piatto che interpreta se stesso, che non è un’accozzaglia disattenta realizzata da una ricetta di altri applicata senza consapevolezza di quel che stavamo facendo.
E una cucina autentica si fonda sull’autenticità degli ingredienti, sul loro valore intrinseco: cosa ci può offrire un carciofo nella sua autenticità? Ecco, raccogliamo quella caratteristica, interpretiamola con la nostra autenticità, ovvero la nostra attenzione e capacità di trasformazione: arriverà un piatto che sarà autentico. E buono certamente.
Il vostro piatto autentico non potrà non essere buono, non potrà evitare di aprirsi al mondo delle Tre Relazioni fondamentali, secondo l’approccio di cucina che utilizzo.
La prima Relazione verso le cose, gli ingredienti. Ma il piatto si rivolgerà anche al mondo delle Relazioni con le persone che lo condivideranno (Babette non ha offerto in quella cena semplicemente degli ingredienti lavorati, ha offerto se stessa! E il risultato è stato la capacità dei commensali di superare le discordie che li dividevano!!!). Infine, sarà un piatto che si aprirà anche all’altra Relazione fondamentale, quella con noi stessi, con “Io”: quella parola che ciascuno di noi può pronunciare ma che per ciascuno di noi è diversa (se diciamo “cane” o “albero” è un concetto che vale per tutti, ma se diciamo “io” è diverso per ognuno, ognuno è un io per se stesso).
Cucinando cibi autentici in modo autentico aiutiamo il mondo, miglioriamo le relazioni tra gli uomini, diventiamo persone migliori.
Le ricette