Serve un po’ di educazione ambientale. La migliore la si fa in casa attraverso il grande gioco della raccolta differenziata.
I rifiuti in natura non esistono, non possono esistere. Se nulla si crea e nulla si distrugge, vuol dire che tutto si trasforma. I rifiuti sono solo oggetti e alimenti “rifiutati”, che non vogliamo o possiamo più utilizzare, ma la loro essenza materiale non smette di esistere. Waste, in inglese, sembra derivi da vastus ed ha la stessa etimologia di devastare.
Praticare la raccolta differenziata (separare il più possibile i materiali di scarto secondo il loro contenuto merceologico per consentirne il massimo reimpiego e riciclo) è quindi un gesto d’amore, di facilitazione e di riconciliazione nei riguardi del lavoro che compiono in silenzio e gratuitamente i cicli vitali della natura. É anche un atto di gentilezza, di altruismo, di collaborazione verso gli altri esseri umani che non volgiamo sporcare, contaminare, asservire.
Abbiamo attinto dai doni del creato (dagli “ecosystem service”, per chi ama linguaggi più scientifici), abbiamo estratto materiali minerari dalle viscere della terra, abbiamo colto frutti dalle piante, pompato acque dai fiumi. Ma viene inevitabilmente il momento in cui dobbiamo restituirli. I rifiuti – ha detto qualcuno – sono autobiografici, ci obbligano ad un esame di coscienza, ci costringono a pensare alle conseguenze dei nostri comportamenti. Si dice “trashing” la pratica degli antropologi che frugano nella spazzatura per acquisire dati e informazioni sugli stili di vita delle popolazioni. Sembra che così se ne venga a sapere molto di più sulle società e sul loro livello di civiltà . E non è sempre edificante. Pensate: il 30% del totale dei prodotti freschi alimentari in Italia viene gettato via. Il 19% del pane, il 17% della frutta e della verdura. In Gran Bretagna sembra vada peggio: il 40% del cibo viene buttato. Più il cibo è precotto e confezionato, prima “scade”, prima viene gettato.
Sembra che l’abbondanza si debba coniugare inevitabilmente con lo spreco. Già Georges Bateille diceva che “il potere supremo è la libertà di sprecare”. Anche se è una libertà ingiusta e insostenibile. Sarà per questo che ci piacciono molto i sacchetti neri, i cassonetti, gli auto-compressori ad agente unico con gancio e telecamera incorporata, i “termovalorizzatori”. Si fa meno fatica a bruciare tutto. I servizi di nettezza urbana (come le fognature) sono una comodità per far sparire il più presto possibile dalla vista i nostri eccessi consumistici. La pratica della separazione domestica dei rifiuti (organico putrescibile, carta, vetro colorato, vetro trasparente, plastica, lattine, indifferenziato non riciclabile) è, al contrario del rogo nell’inceneritore, un rito di ringraziamento, una preghiera per averci dato la possibilità di poter usufruire di tanto ben di Dio (ci sbarazziamo di un kilogrammo al giorno di materiali vari).
Ha scritto Gandhi. “Ognuno deve essere spazzino di se stesso (…) ogni famiglia dovrebbe occuparsi dei propri rifiuti. Per anni ho pensato che ci deve essere qualcosa di radicalmente sbagliato là dove la spazzatura è stata resa attività di una categoria specializzata della società . (…) Sin dalla prima infanzia dovremmo aver impressa nelle nostre menti l’idea che siamo tutti spazzini”. Anche Obama aveva promesso in campagna elettorale: “Ridurre quantità e tossicità dei rifiuti che produciamo. Riusare contenitori e prodotti. Riparare ciò che si è rotto o donarlo a qualcuno che sia in grado di ripararlo. Riciclare il più possibile, includendo l’acquisto di beni prodotti con materiali riciclati. Io penso che come nazione, dobbiamo approvare norme federali con scadenze reali, che impongano a tutti gli Stati di riciclare plastica, alluminio, carta, eccetera, lavorando a un processo incrementale che porti al traguardo rifiuti zero. Avanti! Tutti gli animali eccetto l’uomo lo fanno ogni giorno. Non pensiamo di essere noi la specie più evoluta?
(dal sito www.venezia2012.it)