OGM e consumatore

In un momento in cui non sono ancora chiari gli effetti degli Organismi Transgenici (OT) sulla salute umana e sull’ambiente, il consumatore potrebbe affrontare una certa dose di rischio nel consumo di Cibi Transgenici (CT) nel caso in cui essi gli comportassero vantaggi economici e non soltanto economici.

In particolare, nel caso in cui: 

    i CT avessero le stesse caratteristiche qualitative di quelli convenzionali ed avessero un prezzo di acquisto inferiore;
 Image  i CT avessero lo stesso prezzo di acquisto di quelli convenzionali, ma offrissero migliori caratteristiche qualitative;
 Image  i CT aumentassero la variabilità degli alimenti presenti sul mercato;
 Image  i CT aumentassero la sicurezza alimentare;
 Image  i CT aumentassero la sicurezza ambientale;
 Image  i CT fossero in grado di risolvere i problemi della fame nel mondo;
 Image  i CT consentissero di diminuire le differenze sociali tra le diverse persone.

 1. – A proposito di medesime caratteristiche qualitative e minori prezzi
Da un punto di vista strettamente economico il consumatore tende sempre più a risparmiare nelle operazioni di acquisto dei singoli beni, al fine di aumentare i consumi totali. Pertanto, non vi è alcun dubbio sul fatto che egli potrebbe rivolgere l’attenzione verso i CT se essi avessero le stesse caratteristiche qualitative di quelli convenzionali ed avessero un prezzo di acquisto inferiore. In primo luogo, però, occorre evidenziare che l’equivalenza qualitativa tra l’alimento transgenico e quello convenzionale è ancora tutta da dimostrare, in quanto il CT contiene sia il transgene o i transgeni, sia la proteina o le proteine espressione del transgene.
Non v’è dubbio che, a parità di qualità, nel caso in cui si verificasse una reale contrazione dei prezzi dei beni alimentari, si potrebbe determinare un incremento di benessere per la società, in relazione alla possibilità di consentire alle popolazioni più povere di poter acquistare una maggior quantità di beni necessari a soddisfare il loro fabbisogno alimentare e alla possibilità da parte dei consumatori dei Paesi ricchi di risparmiare nell’acquisto di alimenti, per poi destinare la restante parte del loro reddito ad altri consumi di livello superiore.
Da rilevare che nel caso di prezzi di vendita inferiori rispetto a quelli convenzionali, il consumatore pagherà meno questi alimenti, ma gli rimarrà comunque l’incertezza sulle loro reali capacità nutrizionali. Tale incertezza determina una diminuzione del grado di soddisfacimento dei bisogni, in quanto l’eventuale minor prezzo di acquisto dei CT, potrebbe essere visto come un vantaggio virtuale, non reale, caratterizzato da un livello di utilità inferiore a quello che il consumatore avrebbe ottenuto dal consumo di cibi dei quali conosce le reali proprietà organolettiche e nutrizionali (costa meno, ma probabilmente vale anche meno!!). Non si spiegherebbe altrimenti il forte aumento del consumo di prodotti biologici e dei prodotti tipici che si è verificato negli ultimi anni (il consumatore paga di più un prodotto che secondo il suo giudizio è caratterizzato da una maggior utilità e che, pertanto, ritiene maggiormente idoneo a soddisfare i suoi bisogni, che oggigiorno fanno riferimento alla qualità, alla genuinità, alla sicurezza alimentare e alla tracciabilità).
A conclusione di queste considerazioni relative all’ipotesi che il consumatore possa ottenere dei benefici dalla riduzione dei prezzi dei prodotti alimentari transgenici, occorre rilevare che nella realtà i fatti dimostrano il contrario, ovvero che l’introduzione di alimenti transgenici non ha portato ad una riduzione dei prezzi dei rispettivi prodotti, ma ha determinato un aumento dei prezzi dei corrispondenti prodotti “non transgenici”. Tale effetto, sotto molti punti di vista paradossale, è dovuto al fatto che nei Paesi industrializzati, dove lo scetticismo nei confronti di questi alimenti è maggiore, sono state create due filiere per il medesimo prodotto: una per quello transgenico, e una per quello non transgenico. Questa suddivisione, effettuata al fine di consentire al consumatore di operare una scelta di acquisto consapevole, comporta dei costi di distribuzione (di segregazione, di conservazione, di lavorazione, di etichettatura, di analisi, ecc.), che riducono sensibilmente i vantaggi economici ottenibili durante la fase di produzione agricola. E’ ovvio che l’aumento del prezzo andrà a ripercuotersi sul consumatore, il quale già ora è costretto a spendere di più (per acquistare i tradizionali prodotti non transgenici) per la sola ragione che qualcuno ha voluto introdurre questi nuovi alimenti, senza affrontare preventivamente le problematiche economiche e sociali ad essi connesse (secondo informazioni assunte presso operatori del settore, per avere soia certificata “GMO free” occorre pagare una maggiorazione del 15% circa. In questo contesto, in cui i prezzi delle materie prime transgeniche non sono sostanzialmente inferiori a quelli dell’omologo prodotto convenzionale, non si capisce perché mai il consumatore dovrebbe sostituire un alimento tradizionale, che da sempre fa parte della sua alimentazione e che ha dato dimostrazione nel tempo di essere sicuro, con un alimento che presenta, anche solo potenzialmente, dei rischi per la sua salute, per quella delle generazioni future e per l’ambiente. E’ necessario che la ricerca chiarisca questi dubbi prima di adottare CT per l’alimentazione umana.

2. – A proposito di stessi prezzi e migliori caratteristiche qualitative
Il consumatore potrebbe essere disposto a correre qualche rischio nel consumo di CT se, a parità di prezzo di acquisto rispetto a quelli convenzionali, essi manifestassero migliori caratteristiche qualitative (nutrizionali, di modalità di consumo, di reperibilità ecc.). Economicamente parlando si tratta di una situazione che difficilmente potrà verificarsi, in quanto se il nuovo alimento avrà caratteristiche qualitative superiori a quello convenzionale, difficilmente in un medesimo mercato potrà avere lo stesso prezzo; sicuramente avrà un prezzo superiore, che terrà conto dell’elemento differenziale.
A proposito di miglioramento qualitativo, occorre rilevare che al momento attuale la ricerca ha lavorato solo ed esclusivamente alla creazione di piante semplici da ottenere (pochi geni specifici) e in grado di massimizzare i profitti delle imprese che detengono il brevetto su questi vegetali (piante resistenti ai diserbanti, agli attacchi di insetti, che non marciscono, ecc.). Il consumatore finora non ha ottenuto alcun vantaggio da questi prodotti, in quanto ai fini nutrizionali essi non comportano nessun beneficio rispetto a quelli non modificati. Purtroppo, dai primi elementi a disposizione sembra anche che questi nuovi alimenti non siano migliori da un punto di vista organolettico rispetto a quelli già presenti sul mercato (il pomodoro che non marcisce, al di là dei problemi legati ai maggiori costi di produzione, è stato eliminato dal mercato per il consumo allo stato fresco, in quanto sembra che avesse un forte sapore metallico). Va detto, però, che siamo alle prime applicazioni e che le piante transgeniche attualmente coltivate sono destinate per la gran parte alla produzione di derivati industriali di prima trasformazione, per cui è estremamente difficile esprimere un giudizio razionale e oggettivo sulle loro caratteristiche qualitative.
Per quanto riguarda questi prodotti, occorre poi rilevare che essi aumenteranno le incertezze nutrizionali dei consumatori. Tale affermazione è supportata dal fatto che essi esteriormente sono identici a quelli convenzionali, per cui potrebbe accadere che al consumatore siano venduti come alimenti non transgenici, alimenti transgenici. Trattasi di un aspetto molto importante, in quanto per esempio, nel caso di alimenti che contengono più vitamine, sappiamo che è dannoso per la salute umana sia una carenza di vitamine, sia un eccesso delle stesse. Pertanto questi prodotti dovranno essere segregati da quelli convenzionali e venduti sotto stretto controllo.
A proposito delle precedenti affermazioni, dobbiamo dire che il primo incidente alimentare causato da OT si è già verificato. Negli U.S.A. una partita di STARLINK, un mais transgenico autorizzato solo per l’alimentazione animale, è stato erroneamente avviato all’alimentazione umana; risultato, circa 50 persone hanno accusato malesseri e sono ricorse alle cure mediche, alcuni prodotti trasformati a base di mais sono stati ritirati dal mercato, alcuni stabilimenti di lavorazione del mais hanno dovuto interrompere la lavorazione, si sono avuti danni economici per migliaia di miliardi.
Pertanto il problema della rintracciabilità e dell’etichettatura dei prodotti transgenici è un elemento da non sottovalutare, in quanto sempre più frequentemente il consumatore vorrà conoscere l’origine ed il percorso produttivo e commerciale del prodotto che intende acquistare.


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