Maurizio Signorini

Più di un boomerang non torna, sceglie la libertà

Quante volte, da bambino, ho giocato con il boomerang. Che spesso andava a incastrarsi tra i coppi nei tetti intorno. E non tornava più.

Ma l’aforisma di Stanislaw Lec, poeta e scrittore polacco del ‘900, crea visioni diverse: più di un boomerang non torna, sceglie la libertà.

Come dire che un giorno usciamo dal nostro luogo protetto fatto anche di passività di situazioni e di compromessi che non vorremmo accettare e non torniamo alla sera per riprendere il nostro posto.

Per andare dove? In quale direzione? E per fare cosa? E per essere chi?.

La pandemia ci aveva posti di fronte alla necessità di avere un piano di vita alternativo, che partiva da un cambio lavorativo che avrebbe significato anche uno stravolgimento totale della vita.
Una rivoluzione che avrebbe richiesto uno straordinario atto di coraggio.

Non solo. La nostra quotidianità è segnata da un’aggressione mediatica senza fine, che si somma allo stravolgimento dell’ordine mondiale che ci angoscia e che fa apparire il nostro immediato futuro fosco e incerto. Corruzione, mafie, scambi di voto, modifiche costituzionali, tagli alla sanità, la difficoltà tra palestinesi e israeliani di riconciliarsi nella narrazione, la sopraffazione dei paesi imperialisti divenuta ormai sistematica, l’indifferenza verso il declino della scuola, le troppe parole spese per la rovina dell’ambiente che non diventano progettualità…

Credo che alla base della nostra idea di vita in genere ci sia il bisogno di verità. Che parte da una condizione di libertà interiore che fatichiamo a vivere.

Come ci si sente ad osservare una tela di Fontana dove il taglio apre a nuovi mondi dove si possono frequentare una dimensione nuova di libertà e soprattutto il coraggio di affrontare lo sconosciuto? Oppure di fronte a una sfera bronzea di Pomodoro che, rotta, mostra meccanismi interni complessi da affrontare con coraggio o anche nuove vite lontane, probabili, forse possibili: affascinati o indifferenti?

Gianni Vattimo, nella sua Introduzione a Heidegger: “non siamo al mondo per osservarlo come oggetto o come legge, ma siamo al mondo per progettarci: il nostro rapporto con l’essere è un rapporto progettuale.

È vero che noi non possiamo scegliere il mondo in cui ci troviamo, ma è altrettanto vero che la sua progettualità lo rende sperimentabile. Quindi, perché non sperimentare un’idea nuova di Libertà?”

E quale nuova idea di Libertà?

Non vivere solo la quotidianità ma essere nell’autenticità, ossia caratterizzarsi come veri esseri.

Chiedersi quale possa essere il nostro progetto di fronte ai fatti di quest’epoca, come violenza e assenza di rispetto.

Acquisire il senso della Legge, al di là del rispetto delle regole. Le regole sono solo impedimenti esterni che agiscono sul comportamento limitando gli eccessi. Il senso della Legge, come afferma Massimo Recalcati parlando della scuola, trasmette invece il senso dell’impossibile per cui non si può fare tutto, avere tutto, sapere tutto. Se non è così, i ragazzi crescono con l’idea che tutto sia possibile.

Quante volte abbiamo detto: bisogna essere se stessi! E spesso non ci riusciamo.

Kierkegaard: non essere se stessi significa non essere liberi e ciò porta alla disperazione.

Vivere il fantastico, che è poi la via verso l’infinito. Che può allontanarci da noi stessi perché comunque dobbiamo rapportarci alla finitezza, per non essere sradicati dalla vita concreta.

Nelle nostre analisi e proposte nel sociale, usare parole vive, piene di energia e non di rassegnazione.

Scegliere o no la Fede, non per noncuranza o stanchezza, ma per una scelta convinta. Scegliere la Fede comporta forza e accettazione che tutto non dipende da noi, che siamo dipendenti nella nascita e nella morte. Se la Verità è Dio, se si crede che Egli è la Verità, noi saremo liberi.

Ritengo che bisogna far rigenerare il senso del desiderio, quello di Esserci.

Esserci veramente: costituirsi al mondo.


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