Chi paga per i disastri ambientali?

Chi paga per i disastri ambientali? 
Senza voler attribuire soverchia importanza al nostro ex-premier, la crisi economica che ci sta travolgendo è tutt’altro che un fatto psicologico come il Succitato sosteneva. Io non sono un tuttologo e nemmeno, molto più modestamente, m’intendo di economia o di finanza, ma dal mio punto di vista di ricercatore nel settore della salute e dell’ambiente scorgo non poche concause all’istaurarsi della patologia, una patologia che coinvolge il Pianeta intero.

Per motivi che in parte mi sfuggono, tutto ciò che riguarda la normale fisiologia della Terra è stato accantonato e guardato con fastidio quando non con irridenza. Se Uomo e Natura hanno convissuto in maniera tutto sommato pacifica per un paio di milioni di anni e continuano a farlo presso quelle popolazioni che noi guardiamo dall’alto in basso osservandole come si guarda un animale allo zoo, ora, da un po’ di decenni, noi popoli “evoluti” abbiamo abbracciato una filosofia secondo cui la Natura va dominata, filosofia di cui Mao Tse Tung fu il rappresentate forse di maggiore spicco.
Dominare la Natura, però, non è così facile e proprio la Cina lo sta dimostrando a sue spese con tassi d’inquinamento e di malattie conseguenti che non hanno uguali. Forse qualcuno ricorderà, magari per averne letto, che nel 1952 la Gran Bretagna ripensò radicalmente l’uso del carbone come combustibile dopo che tra il 5 e il 9 dicembre uno smog saturo di particelle carboniose uccise a Londra 12.000 persone e ne fece ammalare un numero enorme, mai di fatto censito anche perché molte malattie che oggi sappiamo essere da particelle erano allora attribuite ad altro. Quello fu semplicemente un momento acuto di una strage che durava da un paio di secoli, da quando, con la Prima Rivoluzione Industriale, il carbone entrò alla grande nella vita degl’inglesi. E pure nella loro morte.
Se dal punto di vista della tossicologia ambientale il carbone è un killer notissimo, tanto che le centrali termoelettriche che funzionano con quel carburante vengono chiuse una dopo l’altra negli Stati Uniti, non pare essere così a livello politico. Da un po’ di tempo quel combustibile di un passato non proprio glorioso è risorto dalle sue stesse ceneri e viene presentato come una delle soluzioni al problema energetico. Ecco, allora, l’ampliamento di centrali come quella alle porte di Savona o la conversione a carbone di quella che la magistratura condannò a Porto Tolle quando bruciava oli pesanti inquinando irreversibilmente il Parco del Delta del Po. Già ora tredici sono le centrali di quel genere attive in Italia e per un paese avvelenato come il nostro ce n’è più che abbastanza senza che si senta il bisogno di aumentarne il numero e la capacità, due elementi che porteranno indubbiamente un incremento di una non piccola serie di malattie, da quelle cardiovascolari a diverse forme di cancro, dagli aborti alle malformazioni fetali, per non citare che qualcuno degl’“inconvenienti”. A questo si aggiunge l’ovvia devastazione dell’ambiente circostante che produrrà inevitabilmente vegetali contaminati oltre al deprezzamento di terreni ed abitazioni.
Politicanti e uomini d’affari di una specie che non mi sentirei di definire illuminata hanno in comune l’appetito nei riguardi del denaro, appetito che sfocia spesso nella bulimia. Al cospetto di piatti pantagruelici per loro è difficile resistere alla tentazione, ma noi che quei piatti li riempiamo qualche domanda dovremmo porcela. Al di là delle sofferenze che una malattia infligge, al di là del disgusto di mangiare un pinzimonio al carbone, quanto denaro ci costa tutto questo? Qualcuno ci ha provato, ma, di fatto, è impossibile valutare tutte le variabili. Malattia significa cure mediche, ospedalizzazioni, lavoro perduto. E quando l’inquinamento tocca la generazione in arrivo, quanto costa avere in casa un bambino malformato o anche solo un bambino con un quoziente intellettivo più basso della norma? Sì, perché anche questo è uno dei problemi.
Spostandoci ad un’altra fonte energetica, diamo un’occhiata all’atomo, a quell’energia nucleare che già per due volte l’italico Pantalone, colui che paga i conti altrui, ha rifiutato oltre ogni possibilità di fraintendimento. Bene, con l’avvento del nuovo governo c’è chi, ministro dell’ambiente in testa, è tornato sull’argomento con nostalgiche dichiarazioni d’amore. Prescindendo dal fatto che l’uranio ci metterebbe alle dipendenze di chi quel metallo ce l’ha rendendoci dipendenti esattamente come siamo per il petrolio se si eccettua qualche cambiamento geografico; prescindendo dal prezzo dell’uranio che sta andando alle stelle; prescindendo dai costi immani e mai davvero calcolati preventivamente della costruzione di una centrale e di quelli ancor più gravi e misteriosi del suo smantellamento; prescindendo dal problema insoluto delle scorie, quanto costano gl’incidenti? La nostra vicina Francia ne conta più o meno uno ogni tre o quattro giorni e, ad ogni incidente, se ne va una fetta di ambiente, compreso il mare che noi italiani condividiamo con lei, visti gl’inquinamenti dei corsi d’acqua che sfociano nel Mediterraneo. E quanto hanno pagato in termini di quattrini gl’inglesi, pescatori in primis, per il disastro ecologico di Sellafield? Fortunatamente per loro i gamberetti trovano mercato altrove, magari restando molto discreti sull’origine reale. Di Fukushima ora non si parla più, ma è notizia recente che centinaia d’aziende dedite alla coltivazione del riso hanno il prodotto inquinato da Cesio137 e, dunque, è tutto da buttare. Dove? Chissà. Che faranno quei coltivatori rovinati? Meglio non parlarne. Intanto è partita la “bonifica”, un nome che metto tra virgolette se non altro perché la si prevede completata in trent’anni, il che non è chimicamente possibile. Naturalmente non è solo il riso ad avere problemi. Per esempio, c’è anche l’acqua.
La domanda è: chi paga per questi danni? Ancora una volta la risposta è: Pantalone. Intanto cosiddetti politici e cosiddetti uomini d’affari continuano imperterriti a devastare il Pianeta sguazzando tra inceneritori, centrali a biomasse, filtri per motori a scoppio che rendono i fumi molto più inquinanti e qualsiasi sistema possa convogliare quattrini nelle loro tasche indipendentemente dai suoi effetti ecologici e sanitari. Per farlo, si servono della complicità dei mezzi d’informazione che manipolano le notizie. Potrà essere elemento di meditazione considerare come tutti costoro condividano con noi l’ambiente con ogni cosa la condivisione comporti. Giusto a titolo di curiosità che fa un po’ contrappasso dantesco, Otsuka Norikazu, giornalista televisivo molto noto in Giappone, volle dimostrare al suo pubblico che a Fukushima non era successo niente e si mangiò in diretta un bel piattone di verdure “nucleari”. Oggi il volonteroso kamikaze ha ricevuto la sua diagnosi: leucemia. Leucemia di una varietà che non offre grandi probabilità di uscirne vivi. Sarà una coincidenza. Comunque, in bocca al lupo.

Biolcalenda Gennaio 2012


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