Aspettative di vita

Sembra che lo scopo della Medicina attuale sia quello di far vivere le persone più a lungo possibile. Ma in quali condizioni?

Per motivi professionali mi trovo spesso a parlare con persone che vivono di quella che noi chiamiamo politica e a mostrare loro i disastri che l’inquinamento ambientale provoca all’interno degli organismi, tramandandoli alle generazioni venture. L’obiezione scontata e inevitabile, puntuale come la morte e le tasse, è: “Eppure viviamo sempre di più. Dunque…”
 

Si vive più di un tempo, è vero, ma perché? Restando confinati al nostro Primo Mondo, dato che altrove le cose vanno diversamente, basta avere qualche dimestichezza con la storia della Medicina per accorgersi che la mortalità perinatale è crollata soprattutto per un’igiene migliorata, che moltissime malattie infettive un tempo mortali sono diventate curabili senza difficoltà, che tante malattie reumatiche responsabili, ad esempio, di patologie cardiache sono pressoché scomparse e che oggi sono correntemente disponibili tecniche che permettono una sopravvivenza di decenni a persone che in altri tempi, peraltro recenti, sarebbero state condannate a morte nel giro di pochi giorni. Mi riferisco, ad esempio, all’emodialisi. Trapianti d’organo, stimolatori e defibrillatori cardiaci impiantabili, tecniche chirurgiche e di rianimazione in continua evoluzione fanno parte del resto. E poi, l’accesso alle cure è oggi molto più generalizzato di quanto non lo fosse fino a poco tempo fa.

La Medicina, spesso lottando contro i suoi stessi santoni, ha contribuito non poco a migliorare la qualità di vita generale, ma pare che questo traguardo costituisca solo un effetto collaterale di un altro obiettivo: quello di vivere il più a lungo possibile. E non è affatto detto che una vita lunga sia sinonimo di una vita di qualità.

Recentemente è uscita una serie di dati da Eurostat, l’ente statistico della Commissione Europea. In questi si riferisce di aspettativa di vita tout court ma anche di aspettativa di vita sana, vale a dire statisticamente quanto tempo abbiamo a disposizione prima di cadere ammalati.

Riassumendo molto e prendendo solo i dati femminili (le donne campano più dei maschi), nel 2008 una sessantacinquenne aveva davanti a sé altri 22 anni di cui sette di vita scevra da malattie. Appena cinque anni prima gli anni in salute erano all’incirca quattordici.

Prendiamo una bambina nata nel 2004 e vediamo a quanti anni sarebbe potuta arrivare senza ammalarsi: 71. Passano appena quattro anni, siamo nel 2008, e l’aspettativa di salute per una bambina nata in quell’anno è precipitata a 61: dieci anni persi in un battibaleno.

Da ultimo, sempre spulciando tra i dati Eurostat, per ogni mese di vita guadagnato ne perdiamo dieci in termini di vita sana. Ora siamo nel 2012. Altri quattro anni sono passati e non abbiamo ancora i numeri. Certo le cose non stanno andando meglio e l’Italia ha fatto un notevole salto in basso rispetto agli altri paesi della Comunità.

Che cosa sta succedendo?

Da un lato la Medicina si è impegnata ad ottenere il risultato vistoso: morire il più tardi possibile, e su questo traguardo forse un saggio avrebbe molto a che obiettare. Ma, volendo pensar male, la Medicina le sue ragioni le aveva. Ormai da lunghissimo tempo non esistono quasi più ricerche indipendenti. Gli stati, tutti, chi più, chi meno, preferiscono impiegare le loro sempre più magre risorse a sostenere le spese militari e quelle relative alla corruzione (nelle posizioni di preminenza tra le voci in uscita in moltissimi paesi), e, allora, la ricerca medica è lasciata completamente nelle mani delle grandi multinazionali del farmaco o, comunque, della “gestione” della salute. E’ così che, inevitabilmente, la filosofia del “vita lunga e malaticcia” trova attuazione. Se io sbarco il lunario vendendoti medicinali, tu devi vivere a lungo perché clienti morti non ne possono esistere. In più, devi ammalarti il prima possibile.

Dall’altro canto questa usurpazione della Medicina ha trovato un alleato nella politica attuata a livello mondiale per far guadagnare sempre più quattrini a chi tiene le redini dell’Industria. Per ottenere margini che siano i più elevati possibili, bisogna stringere i costi, e i costi si stringono, ad esempio, perpetuando metodiche che scienza e buon senso hanno condannato da tempo immemorabile e che l’evidenza rende indifendibili. Motori a scoppio con rendimenti risibili, filtri per motori diesel che, lungi da filtrare, di fatto avvelenano l’aria, centrali termoelettriche devastanti con il Sole trascurato come fonte energetica, laddove, per mancanza d’impegno, si usano pannelli con efficienze insignificanti. Inceneritori di rifiuti che stanno vistosamente compiendo delle stragi, centrali chiamate comicamente “a biomasse” che stanno desertificando il territorio, cementifici che mescolano al loro prodotto ogni sorta di veleni per sottrarli alla vista … Ecco qua come si fa ad ammalarsi precocemente. Il fatto che esistano alternative tecnologiche e politiche a tutto ciò pare non scuotere il mondo.

Ora, da ricercatore di una specie in avanzatissima via d’estinzione, quella degl’indipendenti, lasciatemi fare una previsione.

Al di là dei nove mesi di vita che ogni europeo sacrifica in media all’inquinamento (tre anni per chi abita la Pianura Padana), ciò che io vedo ogni giorno sotto il mio microscopio elettronico prima che, nell’indifferenza generale, non mi si sottragga pure questo come già fece Beppe Grillo quando mi portò via lo strumento oltre due anni fa per imbavagliarlo, è tutt’altro che di buon auspicio. Potrei sbagliare, ma la mia impressione è che oggi le malattie da inquinamento siano prime in classifica, e lo siano con grande distacco. Quando si trovano in tutti gli organi di un bambino malformato morto dopo poche ore dalla nascita tutte le polveri dell’inquinamento cittadino, quando si continuano a ricevere reperti di tumori di ragazzi e quei reperti sono pieni delle cosiddette “polveri sottili”, quando si continuano a vedere ictus, infarti, tromboembolie polmonari con il sangue coagulato attorno a raggruppamenti di particelle inquinanti, c’è poco da stare allegri.

La previsione? La previsione è quella che non solo continuerà velocemente ad accorciarsi l’aspettativa di vita sana, ma lo farà pure quella di vita e basta.

In fondo, con la nostra indifferenza ce la siamo voluta.

Biolcalenda Febbraio 2012



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