Credo che, se non tutti, almeno molti di coloro che mi leggono abbiano notizia dell’esistenza di un certo Roberto Burioni, docente all’università privata San Raffaele di Milano. Da qualche anno il personaggio, ignoto al mondo della scienza (vedi oltre), ha acquisito grande notorietà nel nostro paese grazie ad una tecnica mediatica molto praticata ed efficace, e la maggior parte della popolazione italica è convinta, in assoluta buona fede, che si tratti di un luminare della medicina fino ad esserlo della scienza tout court.
A questo punto occorre chiarire alcuni punti. La carriera percorsa nelle scuole private non s’interseca con quella pubblica. Per spiegarmi, ci si rifaccia ad un esercito di mercenari di cui un tale è al comando. Costui si fregia abitualmente del titolo di generale ma quel titolo non avrebbe alcun valore se lo si dovesse tradurre nell’ambito di un’armata ufficiale. Così è per chi, impiegato in una scuola privata e senza aver compiuto il dovuto cursus honorum nella scuola pubblica, si fa chiamare professore.
Lasciando da parte questa puntualizzazione burocratica tutto sommato di scarsa importanza, credo sia opportuno illustrare in due parole il perché la medicina non sia una scienza e il perché, di conseguenza, il medico non sia scienziato.
Senza entrare nelle minuzie dell’epistemologia, la prima caratteristica di qualunque scienza, se scienza vuole essere, è la ripetibilità , il che significa che chiunque può rifare un esperimento dieci, mille o centomila volte ottenendo sempre lo stesso risultato. Questo dà a chiunque la possibilità , conoscendo tutte le condizioni in cui il fenomeno si svolgerà , di prevederne l’esito senza errore. Impossibile non accorgersi che la cosa è in termini pratici impossibile in medicina dove le variabili sono tali e tante, non di rado ignote e a volte sorprendenti, da rendere il risultato aleatorio o, comunque, da caratterizzarlo da un margine tutt’altro che trascurabile d’incertezza.
Perché quel margine sia ridotto quanto più possibile si richiede a chi applica quella disciplina di essere in possesso di nozioni scientifiche solide e di capacità che con la scienza hanno poco o nulla a che fare. Onesta conoscenza dei limiti propri e della medicina inclusi.
Insomma, la medicina usa la scienza, ma scienza non è così come guidare un’automobile non significa fare dell’ingegneria. Il concetto, per ovvio e semplice che sia, pare non rientrare nella cultura o nell’interesse del personaggio di cui mi sto occupando e di cui i miei pazienti lettori stanno leggendo.
Come è diritto costituzionale di ogni cittadino, anche il dottor Burioni esprime opinioni ma, mentre le opinioni di chiunque restano confinate entro limiti personali, pare che quelle del Nostro ricevano attenzione mediatica e addirittura a livello istituzionale, tanto da influenzare atteggiamenti e decisioni dell’Ordine dei Medici.
Nello scorso mese di ottobre si svolse nei padiglioni della Fiera di Modena una manifestazione che aveva per tema la salute, manifestazione che vide una grande partecipazione di pubblico.
In quell’ambito si tenne qualche conferenza e i conferenzieri non erano di gradimento del Burioni, persona alla quale nessuno aveva pensato di chiedere permessi o anche solo pareri. Questi, allora, tuonò contro il Comune e la Provincia di Modena colpevoli, nella sua personale ottica, di aver concesso la parola a chi, ancora di più nella sua personale visione del mondo, si esprime al di fuori di quella che il Nostro crede essere scienza.
Giusto per la cronaca, non solo le conferenze ebbero luogo ma, almeno per quanto mi riguarda, furono talmente affollate da costringere non pochi di coloro che avrebbero desiderato ascoltarle a restare fuori della sala.
Pochissimo dopo il Burioni, con Modena ormai nel mirino, attaccò violentemente l’università locale. A suscitare le ire era il fatto che al corso di laurea magistrale di farmacia esiste l’insegnamento di omeopatia.
Che cosa importi al Burioni di questo fatto è spiegato sia dalla recente uscita di un suo libro in cui condanna l’omeopatia sia un’incondizionata simpatia verso le grandi ditte farmaceutiche sulle cui origini non mi esprimo.
Qui entra in ballo l’assoluta incompetenza del personaggio.
Per prima cosa le farmacie vendono preparati omeopatici e sarebbe quanto meno bizzarro se il farmacista non avesse idea di che cosa consegna al cliente al quale ha il dovere d’illustrare il prodotto. Correttamente, la legge stessa impone quella conoscenza.
In secondo luogo, sarebbe opportuno che qualcuno spiegasse pazientemente al dottor Burioni che cos’è la medicina.
In poche parole, quella disciplina ha come solo scopo quello di aiutare chiunque a conservare la propria salute o, nel caso sfortunato della sua perdita, di aiutare a recuperarla. Altro la medicina non può e non deve fare. Insomma, pragmatismo allo stato puro.
Chi osservasse con onestà i fatti non potrebbe non accorgersi che di approcci terapeutici ce n’è più di uno e che tutti, nessuno escluso, vantano successi e piangono fiaschi. È vero che l’enorme giro di denaro che ruota intorno alla medicina allopatica, quella, per intenderci, della cosiddetta Big Pharma, ha creato tanto potere da permettere di falsificare grottescamente i dati, ma i fatti, per censurati che siano, restano.
Così, la medicina omeopatica ha guarito tantissime persone e continua a farlo, e agisce con successo anche sugli animali, una categoria che non pare influenzabile da effetti psicologici.
La stessa cosa hanno fatto e fanno altri percorsi terapeutici, e questo indipendentemente da qualunque interesse, da qualunque strepito, da qualunque assioma e da qualunque pubblicità . Insomma, al paziente non importa un fico secco se è guarito grazie a un po’ d’acqua senza principio attivo come, non avendo le nozioni necessarie, ritiene Burioni. A lui importa guarire e basta, meglio se la guarigione è avvenuta senza effetti collaterali come di norma è il caso per l’omeopatia.
Sempre ferma restando la piena libertà del dottor Burioni di esprimere le sue opinioni, sarebbe opportuno che, almeno a livello istituzionale, queste ricevessero l’attenzione che meritano, cioè nessuna.
Chi ne ha voglia si legga gli articoli 21, 32 e 33 della nostra dimenticata e vilipesa Costituzione.