Ormai da tempo si parla pochissimo di un aspetto della comunicazione che tuttavia ha una grande importanza: il silenzio. Per comunicazione infatti si intende la trasmissione di messaggi, quindi soprattutto le parole oppure, in misura minore la comunicazione non verbale: gesti, espressioni, posture ecc., che pure a volte sono ancor più importanti delle parole stesse.
Eppure la tendenza è quella di dare maggior importanza al mezzo verbale, che nell’essere umano è oltremodo sviluppato.
Ma c’è un aspetto della comunicazione che è ancor più sottovalutato che è appunto il silenzio.
Eppure, come vedremo, oltre ad essere una parte importante nella comunicazione, è anche una dimensione della vita di cui tutti abbiamo bisogno per poter riflettere e trovare un profondo contatto con noi stessi.
Troviamo nel linguaggio espressioni che si riferiscono al silenzio come a una dimensione positiva, primo fra tutti il detto ‘La parola è d’argento ma il silenzio è d’oro’ di derivazione latina, oppure ‘Chi tace acconsente’, che sottolinea l’aspetto comunicativo del silenzio; o ancora ‘Spesso il silenzio è la migliore risposta’ o, davanti a situazioni particolarmente intense, ‘non ci sono parole’.
Infatti esso non è soltanto una pausa, uno spazio vuoto nel discorso, ma può essere anche un vero e proprio atto comunicativo, come è sottolineato anche dall’affermazione ‘Non si può non comunicare’, ovvero sia parlando che tacendo, necessariamente comunichiamo qualcosa sia rispetto alla relazione, per esempio ‘non meriti neppure che ti risponda’, che rispetto a noi stessi, ‘non so cosa dire’, ‘sono bloccato’ ecc.
Questa zona sospesa, il silenzio, può essere carico di messaggi non verbali, espressi con lo sguardo e la mimica facciale ma anche con la postura o le azioni, come: allontanarsi, voltarsi o fare dei gesti. Il silenzio non è tutto uguale, come se fosse appunto un vuoto, ma esistono silenzi ostili (‘non ti parlo più per punirti’ è una delle reazioni più difficili da gestire per un bambino), silenzi di ammissione, silenzi di condivisione; e ci sono situazioni in cui si parla di ‘silenzio assordante’, a indicare che in quel momento il fatto che una certa persona o una istituzione taccia, mentre ci si sarebbe aspettati un commento, è oltremodo significativo e rivela forse più di quanto avrebbero potuto fare le parole.
Il silenzio è anche la dimensione dell’ascolto: come possiamo ascoltare se non facciamo silenzio? Il mio silenzio è lo spazio che lascio all’altro nel dialogo e viceversa.
Tutti sappiamo quanto possa essere fastidioso essere interrotti da chi incalza con la propria opinione, ci sovrasta e ci impedisce di finire una frase. Il dialogo presuppone il silenzio durante l’ascolto, ma anche pause per pensare prima di parlare, in un’alternanza che permette a entrambe le parti di esprimersi.
Quasi nessuno oggi insegna il valore del silenzio
Spesso il silenzio è ritenuto imbarazzante, classica la situazione dell’ascensore in cui si è a stretto contatto con sconosciuti e non si sa cosa dire, come se sempre si dovesse riempire il silenzio con qualche parola anche superficiale o scontata.
A volte viene assimilato alla solitudine intesa in senso negativo, o alla difficoltà di comunicare: si sta zitti perché non si sa cosa dire; eppure il silenzio può essere proprio lo spazio in cui possiamo percepire l’altro, al di là delle parole, a livello di presenza, di sensazione. Il silenzio quindi come momento di contatto profondo non solo con sé ma anche con l’altro.
È proprio stare a contatto nel silenzio la dimensione che oggi è drammaticamente carente.
Non soltanto nella relazione, ma ancor più nel contatto con sé stessi.
Il silenzio ormai sembra far paura. Ovunque siamo immersi nelle parole o nei suoni, e quando si ritrovano sole a casa, molte persone accendono la televisione solo per sentire qualcuno che parla e non per scelta di qualche contenuto particolare.
Alcune persone addirittura non riescono ad addormentarsi se non con il sottofondo della televisione.
Nei negozi, non solo nei centri commerciali, c’è spesso musica di sottofondo e molti locali pubblici come bar o caffetterie ecc. hanno un video sempre acceso; magari parliamo con qualcuno e non stiamo ad ascoltare ma si tratta comunque di un’iperstimolazione, un’interferenza di cui neppure ci accorgiamo.
Personalmente fare colazione al bar con in sottofondo il notiziario degli eventi, quasi tutti preoccupanti o proprio negativi, come spesso mi capita, mi toglie il gusto di fare colazione magari riflettendo su qualcosa di personale o pensando alla giornata che ho davanti, o semplicemente guardandomi intorno e conoscere qualcosa di più di quel frammento di realtà in cui mi trovo immersa in quel momento
In altri locali come pizzerie o birrerie, a volte la musica è ad un volume tale per cui, unita al chiacchiericcio delle persone, si riesce appena a parlare.
Pensiamo alla regola di mangiare in silenzio di molti ordini monastici, oggi per lo più considerata un relitto di una vita di mortificazione e sacrifici; può essere invece, come nei ritiri di meditazione attuali, uno spazio di consapevolezza dell’atto di mangiare, che di per sé richiederebbe attenzione e cura: assaporando, masticando, ringraziando rendiamo il pasto un’esperienza più completa.
Farlo ogni tanto è una buona abitudine, anche per chi non è monaco e non pratica meditazione.
Il silenzio è lo spazio in cui possiamo fare contatto con noi stessi, fare quella introspezione che ci porta a sintonizzarci con le nostre emozioni o a mettere ordine nei nostri pensieri.
È lo spazio in cui possiamo rielaborare le cose successe, riflettere su quanto abbiamo sentito e lasciare quello spazio in cui possono emergere intuizioni, pensieri, soluzioni.
Proprio questo contatto con sé stessi, questo spazio in cui si possono manifestare sensazioni, emozioni o idee, è ormai poco frequentato, lo si riempie con qualsiasi cosa capiti.
Da un lato siamo talmente esposti in modo continuativo a stimoli sonori di ogni tipo, che la loro assenza risulta strana e può darci l’effetto ‘vuoto’.
Quando si è abituati a una sovrastimolazione, una bassa presenza di stimoli può dare l’effetto ‘nulla’. Un po’ come chi è abituato a mangiare molto salato che trova una pietanza scarsa di sale assolutamente insapore. Non sa più apprezzare gli stimoli a più bassa intensità .
La stessa cosa accade relativamente al silenzio: non abitandolo mai o quasi, ci dà solo la sensazione di vuoto. Non sappiamo più percepire e riconoscere quello che sta al di sotto degli stimoli in eccesso. Siamo staccati dal nostro mondo interiore.
Dall’altra, più siamo sconnessi dalla nostra interiorità , più essa ci fa paura, e cerchiamo di coprirla con parole, informazioni, suoni, esperienze, senza mai fermarci ad ascoltare e a riflettere su quello che sentiamo.
Praticare il silenzio dovrebbe essere una buona abitudine quotidiana, da soli o in presenza di altri.
Smettere di riempire ogni piccolo spazio di silenzio cercando altri stimoli magari con l’inseparabile, ahimè, smartphone.
Se non lasciamo spazio facendo silenzio non possiamo ascoltare la nostra voce interiore che spesso offre delle soluzioni, né può esprimersi la creatività o arrivare un’intuizione o una consapevolezza.
Abbiamo molto da guadagnare se riusciamo a superare la difficoltà iniziale di essere immersi nel silenzio, prima di scoprire cosa in realtà ci stiamo perdendo.
E quando siamo più a contatto con noi stessi, possiamo stare meglio con gli altri. Anche in silenzio.