Paolo Pigozzi

Alimentazione e benessere

Camminare a piedi per la città è il modo migliore per rendersi conto dello stato delle cose. Della bellezza delle architetture, dei monumenti e dei marciapiedi (nella mia città, almeno in centro, sono in pietra chiara e non in lugubre asfalto), ma anche della manutenzione delle strade e degli spazi pubblici, degli ostacoli alla libera e facile circolazione degli utenti più deboli (bambini, anziani, mamme, disabili, ecc.).

Dell’assurdità di alcune soluzioni viabilistiche, della quantità impressionante di persone che stendono la mano e chiedono aiuto, del numero elevato di negozi e di spazi commerciali vuoti e abbandonati o che vengono sostituiti da bar, tavole calde, pizzerie, mescite di vino, pasticcerie, friggitorie, vendite di cibo “di strada”, ecc. A proposito di questo, ho osservato un numero incredibile di persone (giovani per lo più) che, anche in questa stagione, bevono o mangiano per strada. Non seduti comodamente ai tavolini di un bar, magari in una piazza magnifica.

Come facciamo tutti quando siamo turisti in Italia o all’estero. No, bevono e mangiano mentre camminano o attendono che il semaforo diventi rosso, mentre guardano le vetrine o scansano automobili e motorette, mentre smanettano sullo smartphone.
Ripeto: non sto parlando dei turisti, ma dei miei concittadini. Effettivamente, il cosiddetto “cibo di strada” è una parte importante della cultura di ogni luogo. Mangiare per strada è probabilmente una pratica (una necessità) antichissima e molto diffusa.

Tanto che carretti, banchetti e negozi affacciati sulla pubblica via che vendono alimenti da consumare al volo sono nelle tradizioni di quasi tutti i popoli. Fermarsi per bere un sorso e mangiare un boccone è una necessità ancora oggi.

Per mettere una pausa nel lavoro e nella giornata, per consentirci di prendere fiato e di osservare o ammirare quello che ci sta intorno, per fare due chiacchiere, per raccogliere le idee. Ecco, appunto: fermarsi e pausa mi pare siano le due parole che rispecchiano tutta l’umanità che sta dietro il cibo di strada.

Tuttavia, oggi mi pare che ci sia quasi un impegno, una necessità, un diletto nel fare più cose contemporaneamente: mangiare, ma anche camminare, discutere, telefonare, mandare messaggi, vedere film, spesso anche lavorare… È il modo migliore per ridurre la consapevolezza di quello che stiamo facendo, dimenticarsi di masticare e non badare alla qualità di quello che mangiamo. Rischiando di consumare inconsapevolmente della “robaccia”.

Oppure, il che mi sembra ancora più grave, privando il proprio corpo del godimento fornito dagli aromi e dalla qualità del cibo. Un godimento di cui il nostro cervello e il nostro corpo hanno diritto e che ha precisi e importanti risvolti fisiologici e metabolici.

Ad esempio, nel generare il senso di sazietà, nel mantenimento del peso forma, ecc. Insomma, più che un gesto alla moda e che dovrebbe alludere alla nostra elasticità mentale (c’è perfino una parola inglese che definisce questa abilità: “multitasking”, cioè capacità di fare contemporaneamente più attività), tenere in mano un bicchiere di bibita, un cartoccio di patate fritte o un pezzo di pizza mentre si cammina o si fa dell’altro mi sembra veramente poco rispettoso. Del nostro organismo e del cibo.
Meglio fermarsi e, aggiungo, fare il possibile per mangiare seduti.


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