Una Pasqua di tradizione con le erbe di campo.
La cucina tradizionale romagnola si differenzia da quella dell’Emilia (la seconda parte della Regione Emilia-Romagna) per un abbondante uso dell’olio extravergine di oliva anziché del burro e per essere, pur restando una delle cucine più ricche d’Italia, una cucina piuttosto semplice,
legata ad una tradizione contadina povera, che faceva scarso uso della carne, accezione fatta per i giorni di festa e le grandi ricorrenze religiose o famigliari.
Per certi aspetti si potrebbe dire che, la cucina romagnola, pur essendo collocata a nord dell’Appennino, può essere considerata una cucina dell’Italia centrale, con molte similitudini con quella marchigiana e soprattutto con quella toscana. Infatti è abbondante l’uso delle erbe selvatiche, di ortaggi quali fave, asparagi, carciofi, agretti (o barba di frate), zucchine chiare, scalogno (ognuno dei quali, in Romagna, può vantare delle ottime varietà locali), di formaggi freschi che fino agli anni ’60 del secolo scorso venivano prodotti in ogni casa contadina come il “raviggiolo” o lo “scuaqquerone”, della pasta all’uovo fatta in casa (spesso ripiena) e soprattutto della piadina, una sorta di pane locale che accompagnava ogni pasto.
In questo numero vi presenterò quindi un menù di Pasqua, fatto nella tradizione della mia famiglia forlivese, con un abbondante uso di erbe spontanee e forse un certo abuso di uova, che però sono caratteristiche di questa festività . Normalmente i menù delle feste potevano vantare almeno tre antipasti, due primi (uno in brodo e uno “asciutto”) di pasta fatta in casa e poi i secondi e un dolce. In questo caso vi proporrò il “bazà dèl”, cioè l’abbraccio, che in molte case venivano preparati uno per commensale, che poi riponeva per i giorni successivi la parte che non avrebbe consumato subito.