La Vita che vorrei – Parte 3

Come è strutturato il nostro progetto di educazione parentale? Il giovedì si fa calligrafia e inglese, mentre il mercoledì è destinato a matematica e ad una materia a scelta.

Le attività sono più giocose ed esperienziali possibili: canzoni e ritmi per imparare l’inglese, colori e decorazione per la calligrafia, matematica con semi e fagioli, stuzzicadenti e piselli secchi per i solidi geometrici e cose di questo genere.
Ciò che i bambini non imparano nei gruppi di studio viene completato dalla famiglia a seconda delle esigenze e della linea educativa scelta. Non è una strada sempre facile perché molto dipende dalla collaborazione che si instaura tra il bambino e il genitore. Noi ora siamo alle prese con l’avventura della terza elementare.

Oltre a trovare un bel contesto per il nostro bambino, avevamo anche un altro sogno nel cassetto cioè far parte di una comunità diffusa ed ecco profilarsi la possibilità all’orizzonte.
In una piccola valle, a meno di venti chilometri dalla città, un gruppo di persone si riunisce da circa un anno. Gli intenti sono quelli di far crescere e ripopolare la zona, unire assieme persone che vogliono veramente vivere in modo differente, che sappiano mettere il cuore in quello che fanno, prendendo le distanze dalla mistificazione imperante.

Le radici di questo progetto sono legate all’agricoltura di sussistenza e all’integrazione con la natura, poi da lì gli intenti si diramano su altri tre livelli. Quello economico cioè tentando la strada della cooperativa agricola per creare un reddito per le famiglie con la produzione e vendita dei trasformati; il livello olistico dove l’obiettivo è invece quello di ricordarci chi siamo e imparare a curarci il più possibile con ciò che la natura ci offre; c’è infine anche un terzo livello, quello educativo, dove si vorrebbe tentare di estendere il progetto di educazione alternativa a chiunque lo desideri. Per chiudere il cerchio e collegare il tutto, si è pensato di nutrire sia la crescita collettiva che quella personale, attraverso incontri con facilitatori di professione grazie ai quali si sta cercando di trovare il modo più appropriato di aprirci alla comunicazione sincera ed empatica.

Ci siamo quindi uniti a questa comunità nascente nella valle e assieme abbiamo affittato alcuni grandi terrazzamenti. Abituata alla visuale di pianura trovo sempre sorprendente scorgere le montagne che svettano a coronamento dei campi, tra l’altro ci troviamo in un bio distretto e svariati sono i campi coltivati a erbe officinali. Della produzione agricola derivata dai terrazzamenti affittati, una parte del prodotto sarà destinata alle famiglie di chi ci lavora mentre un’altra parte sarà venduta nei mercati biologici.

Ci si chiederà se in mezzo a tutte queste fatiche ci siano anche dei risvolti ludici. Ma certo! Tra le mezze giornate di lavoro nei campi si trova spesso un pretesto qualunque per far festa. Tavolate comunitarie, si imbandiscono tra il profumo dei fiori di campo e la musica dal vivo e mentre gli adulti lavorano, i bambini corrono su e giù, liberi come farfalle. A vederli il cuore mi si riempie di gioia. 

Ovviamente non è tutto semplice, come sempre anche qui ci sono tanti dubbi, incertezze, gente che viene e gente che va, mancanza di esperienza imprenditoriale, complicazioni generate dalla burocrazia e sempre lo spauracchio che sia una bella bolla ma che possa esplodere da un momento all’altro.

Ho capito che la vita ti può concedere gli ingredienti per fare la tua ricetta, ma non ti da mai la certezza che ne esca un piatto perfetto… non ci resta quindi che rimanere nella fiducia e continuare a sperimentare.


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