L’editoriale di marzo 2013

Reale 
Esiste qualcosa di più irreale del reale? Il termine scaturisce da un lontanissimo passato della radice Rei, proveniente dall’area indo-iranica indicante, probabilmente in origine, il regalare (rendere omaggio al re), designando in latino «i beni», poi «affare», alla fine «cosa». Il termine «reificare» è stato usato talvolta per indicare il «rendere cosa, (cosare)».

Evidentemente imparentato con il termine «re» (latino, rex), antichissimo tema radicale indoeuropeo sopravvissuto nelle aree latina, celtica (gallico, rix), indiana (sanscrito, raja, ragià), collegato con la radice Reg (reggere).

   I nostri antenati, in un periodo preistorico, quando l’individualità tribale cominciò a riconoscere le parti che la costituivano, indicavano il portatore del sangue del capostipite di origine mitica, come «capo». Come noi ora distinguiamo la testa, centrale neuro-sensoriale, rispetto al sistema ritmico respiratorio e al sistema metabolico sessuale, possiamo dire che è la testa che determina la realtà.

Probabilmente questa è l’origine del «re-cosa», l’originalità tribale era tale per la peculiarità del sangue proveniente da un mitico capostipite di origine divina che distingueva il corpo tribale, portatore dello stesso sangue, dal restante cosmo, rendendolo «cosa reale».

Oggi noi affermiamo, spesso con assoluta arroganza, ciò che è reale da ciò che non lo è. Mentre è evidente che molte delle «cose» che ci circondano sono inutile paccottiglia, futilità fatta oggetto da discarica «usa e getta». Diventa sempre più urgente sviluppare una capacità perduta, che un tempo era la famiglia, la tribù, a definire la distinzione tra la falsità e la verità della cose. La testa che non è «cervello», strumento del pensiero, diventa essa stessa cosa inutile, irreale, portando il soggetto umano verso un inevitabile degrado.

La rovinosa massificazione delle individualità porta ad una specie di «tribalismo» globale, in cui viene negata ogni originalità per identificare in oggetti di consumo la realtà. La natura è lontana, resa essa stessa cosa da sfruttare indiscriminatamente per ricavarne non cose vere, pane, tessuti, case, mezzi di trasporto, ma denaro. Come se una falsa divinità avesse comandato: «Non di solo pane vive l’uomo, ma anche della futilità delle cose».

Un mondo «reale» in cui l’oggetto inutile diventa il motore dell’economia: se non c’è, toglie lavoro, cibo e riparo. Dobbiamo ammetterlo, oggi il re è il sistema finanziario, esso definisce la realtà, tutto ciò che lo critica è irreale, tutti coloro che lo combattono sono illusi, insignificanti, ma fantastici sognatori.

Non c’è un luogo nel pianeta per uscire, andare in esilio, un luogo con un diverso linguaggio: un luogo barbaro lontano dal sistema finanziario dominante, sarebbe un luogo irreale.

Eppure, quando la tirannia raggiunge la sua massima potenza manifesta la sua massima vulnerabilità: rivela che il luogo dove non può raggiungerci è il nucleo della coscienza individuale, il Sé spirituale presente in ogni essere umano, che il potere in tutti i tempi ha cercato di negare, perché è il luogo della libertà, del pensiero libero, l’unico che può definire la verità delle cose.

Biolcalenda marzo 2013


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