L’ultima annata agraria, nel suo complesso, è stata una delle peggiori degli ultimi decenni, con un calo generalizzato della produzione dovuto principalmente alle anomalie di natura climatica.
Il primo shock si è avuto durante la primavera per via di gelate tardive e ritorni di freddo che hanno causato non pochi problemi a svariate colture, con conseguenze negative sullo sviluppo delle piante e dunque anche sul quantitativo finale di prodotto.
Poi durante la fase estiva abbiamo avuto temperature superiori alla norma (in alcuni casi con punte massime da record) e periodi prolungati di siccità.
Questi ultimi fattori rappresentano ormai (purtroppo) un trend consolidato per il quale “l’anomalia” sta diventando la normalità.
È risaputo che i vegetali subiscono stress importanti per via di siccità e alte temperature, soprattutto per periodi prolungati, ma a farne le spese sono anche gli insetti utili come api e vari altri impollinatori.
Le conseguenze negative di tutto ciò sono riportate nel rapporto ISPRA dal titolo “IL DECLINO DELLE API E DEGLI IMPOLLINATORI” nel quale si riporta quanto segue:
“Quasi il 90% delle piante selvatiche da fiore ha bisogno di impollinatori come api, vespe, farfalle, coccinelle, ragni, rettili, uccelli, finanche mammiferi, per trasferire il polline da un fiore all’altro e completare la riproduzione sessuale. A loro volta, queste piante sono fondamentali per il funzionamento degli ecosistemi e la conservazione delle specie e degli habitat e in generale della diversità biologica, che rappresenta la base della nostra esistenza e delle nostre economie”.
In questo rapporto si sottolinea appunto il declino generalizzato che i vari impollinatori stanno subendo.
Sono diversi i fattori che hanno determinato questa criticità (come la distruzione e la frammentazione degli habitat naturali, l’inquinamento, l’introduzione di specie aliene invasive) ma anche qui i cambiamenti climatici concorrono in maniera importante nel generare questo fenomeno. Dunque un insieme di fattori che sta provocando criticità a diversi livelli.
Ma quest’anno in particolare si è registrata una nuova ulteriore “anomalia” che ha accentuato ancor più le conseguenze negative legate alla crisi climatica: il vento.
Vi sono diverse aree del Paese per le quali, durante la stagione estiva, l’intensità del vento risulta normalmente bassa e ridotta. Mentre quest’anno anche in queste aree si è manifestata ventosità sostenuta e persistente dal mese di maggio al mese di settembre con conseguenze negative soprattutto per quanto riguarda il bilancio idrico (già gravato da temperature e siccità).
Di fatto il flusso ventoso quasi costante determina un incremento dell’evapotraspirazione nella pianta con conseguente stress idrico; aumenta dunque la richiesta e la necessità di acqua da parte dei vegetali. Ed anche lo stesso suolo esposto al flusso del vento arriva a perdere umidità più facilmente.
A tutto ciò vanno aggiunti anche gli eventi climatici cosiddetti “estremi” come trombe d’aria, forti piogge e grandinate intense che possono arrivare anche ad azzerare completamente la produzione.
Dunque l’emergenza climatica rappresenta uno dei principali problemi per l’agricoltura, non solo per il futuro ma anche e soprattutto per il presente. Problema reale e sempre più palese.
Purtroppo, però, di fatto non si sta facendo niente di concreto per rimediare al collasso ecologico verso il quale siamo diretti, e si sta facendo di tutto invece per mantenere in piedi lo stesso modello produttivo che ci ha condotti fino a questo punto (modello capitalista e neoliberista).
Anche quando ebbe inizio l’emergenza sanitaria legata al Covid vi furono molti buoni propositi perché si potesse cambiare il Mondo in meglio verso sistemi più sostenibili, ma così poi non è stato, e si continua a riproporre lo stesso identico orientamento economico e produttivo dettato dagli interessi di parte delle grandi corporazioni economiche. E non pare di vedere nemmeno in agricoltura una conversione verso modelli agroecologici VERI.
Stiamo minacciando seriamente il funzionamento degli ecosistemi, ma “tutto cambia perché nulla cambi” (citazione di Tomasi di Lampedusa nel suo romanzo “Gattopardo”).
Purtroppo questa frase si sposa benissimo con il momento storico che stiamo vivendo. Si parla di svolta green ma in realtà pare proprio che a livello politico e globale non vi sarà un cambio di rotta verso modelli e stili di vita veramente sostenibili ed ecologici, mentre si continuerà sostanzialmente a proporre e rincorrere la logica consumistica del PIL (prodotto interno lordo) con tutte le conseguenze che ormai conosciamo.
Si sta facendo di tutto per poter continuare sugli stessi binari che ci hanno condotti fin qui adottando soluzioni semplici per problemi complessi. Ogni crisi invece dovrebbe e potrebbe diventare occasione per cambiare (in meglio), ma di fatto non pare di vedere svolte significative verso modelli economici e produttivi diversi da quelli che già possediamo.
Ciò rende ancor più determinante la scelta individuale operata dal singolo (dal basso) per riuscire a definire una nuova rotta verso un mondo veramente “green” in grado di preservare biodiversità e ambiente.
Ognuno è chiamato a fare la propria parte: agricoltore, cittadino, produttore etc. etc.