Che cos’è l’agricoltura biologica?… quarta parte.
È stato appositamente tralasciato nella spiegazione dello scorso numero il termine agricoltura conservativa. Tale termine, introdotto recentemente soprattutto nei lavori sperimentali da parte degli enti di sviluppo agricolo, potrebbe essere fuorviante per chi non conoscesse chiaramente tale metodo.
Se ad una prima analisi sembra un metodo che conserva le risorse e le tutela, in realtà si tratta di un metodo, in alcune regioni supportato anche da finanziamenti pubblici, che prevede l’applicazione di alcune metodiche tipiche dell’agricoltura biologica, come il mantenimento della copertura del suolo e la riduzione delle lavorazioni meccaniche al terreno (per il mantenimento della sostanza organica ed il minor utilizzo di risorse energetiche), ma nella pratica prevede l’ampio utilizzo di prodotti come i diserbanti poiché sarebbero, secondo i promotori di tale metodo, meno impattanti sotto il profilo dell’utilizzo di risorse energetiche.
Tutti sappiamo però quali siano i danni a lungo termine dell’utilizzo di erbicidi (tant’è che nell’acqua degli acquedotti, che tutti beviamo, si continuano a trovare tracce più o meno importanti di erbicidi, come l’atrazina, che non si usa in Italia da almeno vent’anni).
L’utilizzo degli erbicidi servirebbe a ridurre l’impiego di macchine (ed il conseguente uso dei carburanti) e di manodopera per la cura degli appezzamenti, ma ci pare un miope ragionamento (sarebbe opportuno a questo punto aprire un dibattito, vista la continua fuoriuscita di manodopera dell’industria, che fino a qualche anno fa si considerava «fondamentale ed invulnerabile», sul fatto che forse ancora una volta – la storia si ripete ciclicamente: siamo solo noi che ce lo dimentichiamo – l’agricoltura potrebbe assorbire tutta la manodopera non più impiegata negli altri settori).
Prima di parlare di agricoltura biologica e biodinamica, è importante descrivere anche alcuni metodi, che stanno avendo sempre più spazio nelle discussioni dei gruppi e delle associazioni, come l’agricoltura sinergica e la permacoltura, ma che non si possono propriamente inserire nel metodo biologico poiché, mentre questo deve essere certificato da un ente terzo, i due metodi citati non sono regolamentati e non è necessario sottoporli a certificazione.
Corre l’obbligo di dire che è possibile fare biologico certificato in modo sinergico o in permacoltura e che la descrizione che si troverà in queste pagine è un tentativo di sintetizzare in poche righe concetti ed applicazioni, che in realtà abbisognerebbero di trattazioni molto più elaborate, per cui mi scuso nuovamente perché non saremo in grado di definire completamente questi metodi, ma tenteremo di darne una prima descrizione utile a sviluppare nei lettori un successivo approfondimento.
L’agricoltura sinergica nasce dall’osservazione dei processi naturali, dalla presa di coscienza che è necessario mantenere l’organismo suolo, autonomo, in grado di rigenerarsi, mettendo in relazione i diversi elementi in modo che possano essere equilibrati e protetti. La sinergia, rifiuta la prima legge in cui crede l’agricoltura convenzionale (se una data quantità di elementi si trova in una pianta coltivata e raccolta, la stessa quantità di elementi dovrebbe essere re-introdotta nel suolo), poiché non tiene conto della capacità delle piante di sintetizzare e convertire elementi ad esse necessari.
Gli elementi nutritivi utili alle piante vengono dal sole, dai gas atmosferici e dall’acqua per il 95% del loro volume, ma viene comunque loro addebitata la perdita di fertilità del suolo, che invece si determina a seguito della sua lavorazione. Le piante prendono dal suolo solo azoto, oligoelementi e minerali, e un suolo destrutturato lo impedisce.
Esiste infatti uno schema complesso di relazioni tra le piante, i microrganismi del suolo e gli elementi nutritivi. Nei suoli naturali (imperturbati), questi processi funzionano in maniera sana e controllano efficacemente l’attività microbica, ivi compresa quella delle popolazioni di organismi patogeni. Rendono inoltre assimilabili gli elementi nutritivi presenti nel suolo. Nei suoli perturbati da arature, lavori colturali e fertilizzanti con nitrati, questi processi non hanno e non possono aver luogo.
Alan Smith, Masanobu Fukuoka ed altri elaborarono questi princìpi, che sono la base dell’agricoltura sinergica:
- Fertilizzazione continua del suolo tramite una copertura organica permanente.
- Coltivazione di specie annuali in associazione a colture complementari, con l’integrazione d’alberi azoto-fissatori
- Assenza d’aratura o di qualsiasi altro tipo di disturbo del suolo: il suolo si lavora da solo.
- Il suolo si area da solo, se noi evitiamo di provocarne il compattamento.
La permacoltura è un processo integrato di progettazione che dà come risultato un ambiente sostenibile, equilibrato ed estetico. Applicando i princìpi e le strategie ecologiche si può ripristinare l’equilibrio di quei sistemi che sono alla base della vita, con la conservazione consapevole ed etica di ecosistemi produttivi, che hanno la diversità , la stabilità e la flessibilità degli ecosistemi naturali.
È essenzialmente pratica e si può applicare a un balcone, a un piccolo orto, a un grande appezzamento o a zone naturali, così come ad abitazioni isolate, villaggi rurali e insediamenti urbani. Allo stesso modo si applica a strategie economiche e alle strutture sociali. Permacultura è la progettazione di una interazione consapevole ed efficiente fra l’uomo e l’ambiente, è ecologia coltivata. Non è una serie di teorie o metodi, ma un modo di pensare, in maniera sempre nuova e flessibile (riadattato da permacultura.it/).
Come si sarà notato le due metodiche si somigliano e contribuiscono, l’una con l’altra, ad innovarsi con continuità . Questi due metodi prendono origine da un’osservazione che, per certi aspetti, limita l’applicabilità su più vasta scala, poiché sono pensati per il sostentamento delle persone che abitano in un determinato territorio, cosa difficilmente applicabile allo stato attuale delle dinamiche delle popolazioni, ma che possono e devono essere tenuti in considerazione, sia per apportare un continuo miglioramento alle tecniche agricole tradizionali e biologiche, sia per la futura progettazione di spazi da destinare alla vita delle persone.
Risulta difficile dare una definizione netta di due metodi che si compenetrano e si arricchiscono vicendevolmente, tant’è che molti ritengono sia un unico sistema. Nella pratica si caratterizzano entrambi per la gestione di piccoli spazi, che vengono organizzati in funzione della coltivazione dei vegetali utili al sostentamento delle persone che le coltivano.
Questi spazi inoltre vengono strutturati effettuando delle semine o dei trapianti, riproducendo il «caos» naturale, ovvero mescolando piante di specie diverse perché ognuna tragga beneficio dalla vicinanza dell’altra (per l’assorbimento dei nutrienti e per la difesa dai patogeni), dove il terreno viene lavorato pochissimo e solo con lo scopo di rimuovere la piccola porzione di terra destinata ad accogliere i semi o la piantina.
Biolcalenda febbraio 2013