"L’immensa sfida che abbiamo di fronte come umanità per fermare il riscaldamento globale e raffreddare il pianeta verrà vinta solo portando avanti una profonda trasformazione nell’agricoltura verso un modello sostenibile di produzione agricola contadina e indigena, e altri modelli e pratiche tradizionali ecologiche che assicurino la Sovranità Alimentare, intesa come il diritto dei popoli a controllare le loro sementi, la loro terra, acqua e produzione di alimenti, garantendo, attraverso una produzione in armonia con la Madre Terra, locale e culturalmente appropriata, l’accesso dei popoli a cibo sufficiente, vario e nutritivo in complemento con la Madre Terra e incentivando la produzione autonoma (partecipativa, comunitaria e condivisa) di ogni nazione e popolo".
Questo è stato affermato dalla Conferenza Mondiale dei Popoli, organizzata da Via Campesina sul Cambio Climatico e i Diritti della Madre Terra, che si è tenuta a Cochabamba, in Bolivia, il 22 aprile del 2010, e poi si aggiungeva: “Nello stesso tempo denunciamo come questo modello capitalista imponga megaprogetti di infrastrutture, invada il territorio con progetti di estrazione di risorse naturali, privatizzi e mercifichi l’acqua e militarizzi il territorio, espellendo i popoli indigeni contadini dai loro territori, impedendo la Sovranità Alimentare e approfondendo la crisi socio ambientale”.
Nell’appello di “Via Campesina” si invitava a partecipare all’ incontro che si sarebbe tenuto a novembre a Cancun e si metteva in luce che le proposte delle multinazionali per (non) risolvere i cambiamenti climatici comprendevano le produzioni di biocarburanti, magari OGM, e la coltivazione di alberi, come le monocolture di eucalipto, per compensare le emissioni di CO2, realizzando in tal modo un accaparramento di terre nel sud del mondo, con conseguente massiccia espulsione delle comunità contadine. Proprio il tema dell’accaparramento delle terre è stato poi dominante nel dibattito sul futuro dell’agricoltura a Dakar e lo slogan di Via Campesina è stato: “Contadini del mondo contro l’accaparramento delle terre: terra a chi la lavora e nutre il mondo”.
Il problema dell’accaparramento delle terre è simile a quanto era già successo in Inghilterra, e poi in tutta Europa, con la recinzione (enclosure) dei beni comuni (commons), ma, mentre in Europa questo processo ha spostato mano d’opera dalle campagne alle fabbriche, ora, nel sud del mondo, l’accaparramento sposta agricoltori in grado di sfamare i villaggi, verso un inurbamento fatto di ”favelas” invivibili, senza cibo né acqua. Proprio in Senegal o in Mali, è stato spiegato, notabili locali si fanno dare, spesso con l’inganno, terreni che appartenevano da sempre ai villaggi agricoli, dove la gente si sfamava coltivando miglio e arachidi e allevando capre, per poi rivendere queste terre a multinazionali o a paesi stranieri, sia per estrarre materie prime che per produrre biocarburanti, mentre le popolazioni locali restano senza mezzi di sussistenza, costrette a migrare. Per questo motivo le organizzazioni e i movimenti sociali riuniti a Dakar hanno lanciato un appello contro l’accaparramento delle terre.
Partendo dal presupposto che l’agricoltura contadina e a conduzione familiare, cui appartiene la maggior parte degli agricoltori del mondo, è quella che meglio assolve alla funzione di nutrire il pianeta, generare sviluppo nelle aree rurali e garantire la conservazione delle risorse naturali a beneficio delle generazioni future, gli aderenti al Forum Sociale Mondiale hanno chiesto ai governi e ai parlamenti nazionali di porre immediatamente fine a qualsiasi appropriazione di terre in corso o futura. L’accaparramento massiccio di terre, praticato da stati terzi o da interessi privati per acquisire cibo, energia, risorse minerarie e ambientali, ma anche a fini speculativi o per interessi geopolitici, viola i diritti umani dei produttori di cibo (comunità locali, indigene, contadine, pastorali o di pescatori) poiché limita la loro possibilità di accesso alle risorse naturali, ne condiziona le scelte in materia di produzione e aggrava le disuguaglianze di accesso e controllo alla terra per le donne. Individuando nei parlamenti e nei governi nazionali i principali responsabili della gestione della terra e della tutela dei diritti dei popoli, le organizzazioni hanno sollecitato l’adozione di misure volte al riconoscimento e alla regolamentazione dei diritti di quanti lavorano la terra.
In particolare ciò comporta il rispetto degli impegni presi in occasione della Conferenza Internazionale sulla Riforma Agraria e lo Sviluppo Rurale (CIRADR) del 2006; il rilancio della riforma agraria; il rafforzamento del processo di costruzione delle Direttive FAO e l’ancoraggio di queste ultime ai diritti umani, nei termini definiti dai patti e dalle carte internazionali. Le organizzazioni hanno quindi invitato la Commissione per la Sicurezza Alimentare FAO a rigettare definitivamente i Principi per l’investimento responsabile in agricoltura, proposti dalla Banca Mondiale, perché illegittimi e inadeguati a contrastare il fenomeno. Ma non bisogna credere che il problema della sovranità alimentare e dell’accaparramento delle terre riguardi solo il sud del mondo. Le multinazionali agrochimiche con i loro prodotti brevettati, come gli OGM, stanno trasformando tutti gli agricoltori del pianeta in una sorta di lavoratori dipendenti da queste industrie, impedendo il controllo sul processo produttivo agricolo.
La cosiddetta “rivoluzione verde” anche da noi, nel nord ricco del mondo, ha trasformato l’agricoltura e il territorio, rendendo sempre più difficile l’obiettivo dell’autosufficienza e della sovranità alimentare. Importiamo, infatti, cibo per la nostra alimentazione da ogni parte del pianeta, perché (così si afferma, ignorando le esternalità) costa meno, mentre esportiamo prodotti particolari, non essenziali per l’alimentazione, come vino e prodotti tipici. Inoltre la speculazione edilizia e la realizzazione di grandi infrastrutture, l’utilizzo di coltivazioni per le biomasse ad uso energetico e, da ultimo, i pannelli solari sui campi, hanno stimolato interessi affaristici, spesso mafiosi, per un nuovo accaparramento delle terre. Ma quando il costo del petrolio e delle altre materie prime, a causa del tendenziale esaurimento, sarà ben più alto di ora, non sarà più possibile importare cibo a basso costo, mentre la nostra agricoltura, petrolio dipendente, non sarà più economica e la nostra superficie agricola sarà stata ricoperta di autostrade, capannoni e centri commerciali. Consumare prioritariamente prodotti agricoli del proprio territorio, valorizzando le varietà locali, ridurre i consumi di prodotti di origine animale, eliminando i mangimi OGM, favorire la diffusione di orti collettivi e l’autogestione dei consumi, è il modo migliore per rifiutare anche da noi un’iniqua globalizzazione, che trasforma in merce ogni conoscenza ed ogni bene comune, ma è anche il modo migliore per contribuire alla riconquista della sovranità alimentare dei popoli africani o del Sud America.