Corbezzolo1

Il Corbezzolo

ARBUTS UNEDO L.  – Ericaceae

Fioritura: autunno  – Tempo balsamico: tutte le stagioni – Parti raccolte: foglie d’annata, corteccia, radici e frutti.

Si racconta che durante il Risorgimento i patrioti italiani dell’Italia centro meridionale si facessero riconoscere da altri patrioti che non conoscevano, portando in mano un ramo di corbezzolo, una pianta che era divenuta il simbolo dell’unità poiché sullo stesso ramo aveva le foglie verdi, i fiori bianchi, i frutti rossi, come la bandiera italiana e in autunno tutti e tre erano ampiamente presenti in un arbusto sempreverde, molto ramificato, con la corteccia che, da giovane, è liscia e di colore bruno-rossastro, poi, con l’avanzare dell’età si sfalda in sottili scaglie longitudinali.

Le foglie sono coriacee, semplici, alterne, con breve picciolo e la lamina ellittica, dal margine seghettato, di colore verde scuro e lucido di sopra, di sotto più chiaro. I fiori, sono bianchi con corolla a forma di piccolo orce, nascono all’estremità dei rami da settembre a novembre e sono raccolti in infiorescenze pendule a grappolo.

I frutti provengono dalla fioritura dell’anno precedente e si presentano come bacche sferiche della grandezza di una ciliegia; hanno una superficie esterna granulosa e sono di color rosso vivo, mentre, all’interno, contengono una polpa giallastra dal sapore dolciastro e dal retrogusto acidulo

La storia della botanica padovana lo documenta  “Comune e caratteristico dei settori silicei del distretto Euganeo, sia in quelli rivestititi dalla macchia, di cui è uno dei costituenti più frequenti, sia dal bosco, mancando nei ridossi più meridionale, nei substrati calcarei ed in pianura” (Beguinot).

Il nome del genere (arbutus) rinvia ad arbois una parola di orgine celtica =che significa frutto scabro; il nome della specie (unedo) viene da due parole latine (unum edo), cioè ne mangio uno solo”.

L’etnobotanica euganea utilizzava tutte le parti della pianta. I frutti rosso purpurei, a maturità, servivano per preparare liquori, marmellate o venivano consumati freschi anche se la loro caratteristica proprietà astringente ne imponeva un uso limitato. Il legno duro era usato per lavori artigianali e per produrre un ottimo carbone.

Le radici e le foglie  venivano usate nella fitoterapia popolare che tuttora conserva la memoria di antichi usi e abitudini.

A Faedo si ricorda che dai frutti carnosi si ricavava una bevanda alcolica analoga al sidro, dalle proprietà antidiarroiche ed espettoranti; ad Arquà Petrarca, in caso di dissenteria, si mangiavano i frutti freschi, se disponibili, oppure la marmellata o lo sciroppo (1959).

A Valle S. Giorgio, Valsanzibio: il decotto delle foglie, addolcito con miele, era usato per via orale, come espettorante ed, analogamente ad un decotto di radice, era ritenuto utile per prevenire l’arteriosclerosi e attivare le funzioni epato-biliari (1963).

Briciole d’archivio

  • Pag44Todaro3Sinonimi:   Arbutus. Matth. Dod.; Arbutus, sive unedo. Aud.; Arbutus comarus Theophrasti. I. B.; Arbutus, folio serrato Pit. Tournef.; Comarus Theophrasti.
  • Loco:  nasce da per sé ne’ i luoghi montani, nelle selve”. (Soderini), 
  • Cocina:  “Si distillano i fiori e le foglie nel bagno-maria, e si ottiene un liquore che è un eccellente preservativo contra la peste.” (James)

Giovamenti/Nocumenti: 

“E’ il frutto d’acerba natura: offende lo stomaco, et fa doler la testa: astringe, robora, e condensa…Vale la polvere delle frondi al flusso spargendola sopra il ventre unto prima con olio … con le frondi secche i conciatori conciano le cuoia” (Durante)

“Il frutto … è di difficile digestione e cagiona mali di stomaco a chi ne mangia.”  (Lemery)

“I cacciatori si servono del seme per acchiappar Uccelletti nel verno” (James)

RICETTA ORALE

“I corbei a ti po magnare cusita. Ma i xe boni se te ghe miti ‘na s-cianta de sucaro e ‘na scianta de graspa o de vin e te li magni el dì dopo. Me mama la li metea via soto graspa e la ghe sontaa un poche de foje de l’erba Luisa (Lippia citriodora); invese me nono el fasea in casa ‘na graspa ch’el beea dopo magnà parchè el disea che la fasea ben.”  (Boccon, luglio 1958, Alvise , contadino, anni 64).


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