La parola latina composta da "inter" ‘fra’ e "legere" ‘scegliere’ per cui "intelligente" è "chi sa trascegliere". Per estensione diventa la capacità di giudicare, intendere, capire, pensare. Nell’epoca "dell’intelligenza artificiale" è cosa alquanto "normale" che tutto ciò che sembra apprendere e memorizzare appaia intelligente, macchine e animali compresi.
Tutti intelligenti tranne l’uomo che appare smemorato, impreciso, incerto, oppositivo, lento, inadeguato, "stupido". Eppure se c’è una capacità esclusivamente umana che pone l’uomo in una dimensione divina è quella di giudicare, emettere giudizi, scegliere tra opposti. Non è molto importante se l’uomo commette errori di giudizio, non è proprio un dio, ciò che è determinante è questa capacità di distinguere tra giusto o sbagliato, buono e cattivo, vero falso. Anzi il semplice fatto di porre il dubbio oppositivo colloca l’uomo in una dimensione, che lo distingue da tutto ciò che esiste.
Gli antichi che ritenevano di vivere immersi nella natura, manifestazione del pensiero divino, non consideravano d’essere in grado di pensare, ma di cogliere il pensiero intrinseco delle cose. In questo "trascegliere", solo in questo, sta’ tutta la grandezza dell’uomo che trascende la natura. Nelle società tribali, distinguere e scegliere era un’attività riservata al Re, al quale si riconosceva una capacità "reificatrice", ‘rendere reale’ ciò che altrimenti era indistinto, tra sogno e sonno, irreale.
Oggi, questa capacità è, dovrebbe essere, di tutti gli uomini, ma molti vi rinunciano volontariamente, vogliono fare gli "scrutatori non votanti", vogliono avere, ma non essere, oppure, esserci senza volerlo. Quindi rinunciano alla loro facoltà di intelligere. Perché? Il senso di colpa, forse, per una condizione che si sentono di non meritare, che li fa migliori senza merito? Forse, la paura della solitudine, dell’unicità reale, l’insopportabile incertezza del giudizio sbagliato, come se ‘errare’ non fosse la condizione umana più importante, il dono Divino che ci rende liberi. Il famoso ‘arbitrio’ che ci allontana, ma ci fa simili a Dio.
E’ vero che l’intelligenza ci può rendere arroganti, blasfemi, arbitrari, e tantissime altre cose antipatiche, ma rinunciarvi volontariamente non ci evita il problema, anzi, forse nasconde un desiderio inconfessabile: possedere la perfezione senza sforzo, senza fatica; essere al di sopra delle parti senza giudizio, essere Re senza responsabilità, averne tutti i benefici, ma con la responsabilità dei sudditi. Non è un piccolo dio quel tale che fischia al proprio cane e vedendolo arrivare fedele e festoso esclama: "E’ tanto intelligente". Come il Dittatore che agisce come vuole, ma non accetta d’essere giudicato.