Epidemia, pandemia, contagio, virus, lavaggio delle mani, zona rossa e zona gialla, amuchina, alcol, rianimazione, protezione civile, esercito, Spallanzani, Sacco, isolamento, guarigione, terapia intensiva, virologi, Cina, Vo’, mascherine… Sono alcune delle parole che tutti abbiamo ascoltato, pronunciato, letto, ruminato e digitato nelle scorse settimane, evidentemente in relazione all’evento Coronavirus.Evento che, mentre scrivo (inizio marzo) è ben lontano dal concludersi o semplicemente dal far intravvedere la luce in fondo al tunnel. Certo che, a ragione o a torto, ha coinvolto e sconvolto le nostre comunità per mesi. Provocando reazioni in molti casi energicamente vistose.
Dal punto di vista personale, politico, amministrativo, sociale, economico. Reazioni probabilmente anche necessarie e inevitabili. Mi domando, tuttavia, come mai fenomeni altrettanto o forse più gravi, almeno dal punto di vista delle persone decedute, non scuotano altrettanto fortemente l’opinione pubblica e non siano oggetto da parte della politica di provvedimenti similmente energici per avviarne un superamento.
Ad esempio, nel 2016 secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità 1,36 milioni di persone in tutto il mondo hanno perso la vita a seguito di un incidente automobilistico.
Cioè in ogni giorno di quell’anno sono morte quasi 3.700 persone. Una vera e propria guerra. Oppure una pandemia, se volete utilizzare anche in questo caso una parola alla quale ci siamo abituati negli ultimi mesi.
Si tratta di numeri che imporrebbero l’adozione urgente di provvedimenti radicali, sia da parte della politica, a tutti i livelli, sia da parte dei cittadini. Soprattutto nella nostra Italia, uno dei paesi con il più alto tasso di motorizzazione in Europa, dove il problema della sicurezza in città e nel traffico è enorme.
Non è una questione soltanto sociale, ma anche di natura economica. È evidente a tutti che centinaia di migliaia di decessi ogni anno hanno un peso anche sul Prodotto Interno Lordo (PIL) di ogni Stato. Un peso che l’OMS stima possa arrivare fino a perdite del 3% del PIL proprio a causa degli incidenti stradali. Per cambiare questa situazione occorrono provvedimenti e riforme radicali, che mettano al centro le persone e i cittadini, non più le automobili, come capita ora. Lo spazio pubblico andrebbe redistribuito a favore dei pedoni, dei ciclisti, dei bambini, degli anziani, delle persone con difficoltà motorie. Soprattutto all’interno dei centri storici e nelle aree centrali dei quartieri, andrebbero incentivate le zone 30 e a traffico limitato.
Gli itinerari ciclabili dovrebbero costituire, sia pure gradatamente, una rete senza smagliature che consenta di muoversi in sicurezza non solo per qualche centinaio di metri, tra quartiere e quartiere, ma anche per decine di chilometri, collegando città vicine e lontane.
Buone pedalate e buone passeggiate (quando saranno possibili).