PM10

I triangoli di cartone della medicina

Secondo i dati di una ricerca pubblicata sulla rivista «The Lancet Oncology» le polveri PM10 e PM2,5 possono essere responsabili di forme di cancro polmonare e un incremento della densità di quelle polveri nell’aria corrisponde ad un incremento dei casi. Spesso, quando ci si propone di scalare una montagna, la scelta tra le vie da percorrere è molteplice: alcune possono essere relativamente facili, altre difficili, altre possono essere eleganti. Comunque stiano le cose, tutte condividono lo stesso obiettivo: raggiungere la vetta.

Ora, cambiando, ma solo in apparenza, prospettiva, proponiamoci di dimostrare il teorema di Pitagora. Di dimostrazioni ne esistono tantissime, alcune anche molto eleganti. Una, quella di George Airy, addirittura poetica. Ancora una volta, comunque stiano le cose, tutte arrivano alla vetta: «In ogni triangolo rettangolo il quadrato costruito sull’ipotenusa è equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui cateti». Il che, nella geometria euclidea, è universalmente vero indipendentemente dalle dimensioni dei lati.

Una sorta di rozza dimostrazione del teorema, però, si può ottenere fabbricandosi migliaia di triangoli rettangoli di cartone, tutti di dimensioni diverse e con i cateti in proporzione reciproca pure diversa. Su ognuno di quei triangoli si costruiscono, sempre con il cartone, i quadrati che hanno per lato i cateti e quelli che hanno per lato l’ipotenusa. Se poi peseremo insieme le migliaia di quadrati costruiti sui cateti e sull’altro piatto della bilancia metteremo tutti i quadrati di cartone costruiti sull’ipotenusa, vedremo che i due pesi sono più o meno gli stessi. Ho detto più o meno perché un’operazione del genere comporta errori, dal possibile non omogeneo spessore del cartone alle imprecisioni nel ritagliare i quadrati. Così, se questa sarà stata la nostra dimostrazione, noi dovremo cambiare un po’ l’enunciato in «nei triangoli rettangoli il quadrato costruito sull’ipotenusa è con ottima approssimazione equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui cateti».
Ecco, ovviamente, mutatis mutandis, queste ultime sono le dimostrazioni che si fanno abitualmente in medicina.
Non essendo per mille e un motivo una scienza aggettivabile come esatta, la medicina non può permettersi dimostrazioni eleganti, men che meno quelle che qualche filosofo definirebbe magari a priori, e deve ricorrere ai grandi numeri, ricavandone risultati che, con speranze tanto maggiori quanto più alti sono i numeri in ballo, auspicabilmente si avvicinano alla realtà. Non mi si fraintenda: nessuna critica da parte mia. Così stanno le cose in termini oggettivi e non potrebbero essere altrimenti, almeno allo stato in cui si trova ora la scienza.
Nel luglio scorso la rivista «The Lancet Oncology», sezione specialistica dell’antica e prestigiosa «The Lancet», ha pubblicato un lavoro prodotto da una squadra molto nutrita di medici in cui si dimostra come le polveri PM10 e PM2,5 possano essere responsabili di forme di cancro polmonare e come un incremento della densità di quelle polveri nell’aria corrisponda ad un incremento dei casi. La raccolta dei dati ha occupato il gruppo per circa tredici anni in nove Paesi europei, Italia compresa, studiando 312.944 persone, 2.095 delle quali si sono ammalate di cancro dei polmoni.
Non è una novità, ma stavolta i numeri in gioco sono insolitamente grandi, e così il grado di precisione si alza. A margine è da notare come, nella dimostrazione, le polveri non siano le responsabili ma possano esserlo, un’espressione che dà conto di come la medicina si ponga nell’ambito della scienza.
Poco importa che noi, mia moglie ed io, in tutta modestia, quella relazione tra polveri e cancro l’avessimo dimostrata all’incirca quando la raccolta dei dati statistici di Lancet era all’inizio: noi l’avevamo fatto in modo diverso, non limitandoci ai polmoni e non ritagliando i triangoli di cartone, tanto per tornare all’esempio di qualche riga fa. Ma la medicina non può accettare eleganze. Nulla di male se non l’osservazione che, ritagliare trecento e passa mila triangoli, prende tempo e porta a conclusioni non perfettamente a fuoco. L’importante, però, è che, in un modo o nell’altro, la montagna sia stata scalata.
A questo punto, un chiarimento. Chi leggerà l’articolo originale [Ole Raaschou – Nielsen et al., Air pollution and lung cancer incidence in 17 European cohorts: prospective analyses from the European Study of Cohorts for Air Pollution Effects (ESCAPE)] potrà chiedersi come mai le PM10 appaiano più cancerogene delle PM2,5. La spiegazione è molto semplice e, in attesa di altri triangoli ritagliati, riferisco ciò che conosciamo da almeno una dozzina d’anni.
La parte preponderante delle PM10 è relativamente grossolana e, una volta inalata, resta in gran parte imprigionata nei polmoni. Lì si comporta da ciò che è, vale a dire un corpo estraneo, e induce una reazione infiammatoria la quale, in tempi variabili, può esitare in una forma di tumore locale. Le PM2,5, più piccole 64 volte, non si fermano che in minima parte nei polmoni, ma riescono in gran parte a lasciarli nel giro di poche decine di secondi, passando alla circolazione sanguigna che le trasporta in ogni tessuto dove innescano lo stesso tipo di reazione delle sorelle più grosse. Ecco perché, se si considera solo la patologia polmonare, le PM10 risultano più aggressive.
Di fatto, valutando l’intero organismo, le PM2,5 sono di gran lunga più patogene e, se si approfondisse il discorso alle PM1, che delle PM10 sono mille volte più piccole, si vedrebbe che la loro capacità di indurre malattia, e non solo cancro, è ancora più elevata. Ma, per ora, accontentiamoci del più che meritevole articolone di Lancet, in fondo comprensibilissimo per chiunque, con l’augurio che qualcuno «che conta» capisca che continuare a produrre polveri inquinanti è peggio che fare l’untore.
Ritornando all’epistemologia della medicina, mi auguro di non aver urtato la suscettibilità di nessuno. Al medico va tutto il mio rispetto e la mia ammirazione per il suo lavoro difficilissimo e di grande responsabilità e va pure tutta la mia simpatia e comprensione per i metodi che usa e di cui si fida. Il mio auspicio è solo quello di vederli un po’ più aperti all’interdisciplinarità.

Biolcalenda settembre 2013


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