Nell’editoriale di Biolcalenda di novembre scorso dicevo che per agricoltura ed ambiente le cose vanno sempre peggio e purtroppo nel frattempo le cose non sono migliorate, anzi i vertici che si sono tenuti alla fine del 2022, a Bali e a Sharm el Sheikh, hanno messo in luce come la volontà politica degli Stati, a partire dai più potenti, sia lontana dall’affrontare seriamente la crisi che sta mettendo in seria difficoltà popoli e ambiente di tutto il Pianeta; una crisi che è ad un tempo ambientale, economica, politica e sociale.
A Bali si è tenuto il vertice dei 20 più importanti paesi del mondo e si è discusso di molti argomenti tra cui la guerra in Ucraina, la pandemia, la diversificazione e sicurezza delle fonti energetiche, la transizione ecologica, la stabilità delle economie, la sicurezza alimentare e la lotta al cambiamento climatico.
Unica decisione è stata, a maggioranza, la condanna della guerra in Ucraina, per il resto i leader mondiali si sono limitati ad affermare di voler proseguire gli sforzi nella lotta alla pandemia e per limitare l’aumento delle temperature globali a 1,5°C, riconoscendo la necessità di ridurre gradualmente l’uso del carbone. Ma in realtà in queste conclusioni non c’è nulla di concreto né di nuovo, rispetto alla situazione attuale che resta, anche dopo questo vertice, drammatica.
Infatti si continuerà a bruciare fonti fossili, tutt’al più riducendo il carbone e l’inquinamento e i cambiamenti climatici resteranno un problema irrisolto.
Non meglio è andata a Sharm el Sheikh, dove si teneva la Cop 27, cioè l’incontro (il ventisettesimo dopo gli accordi di Kyoto) tra gli stati impegnati su come affrontare la lotta ai cambiamenti climatici.
Da tempo gli scienziati di tutto il mondo hanno sottolineato le complesse interazioni tra i cambiamenti climatici e altri fattori di rischio, come conflitti, pandemie, crisi alimentari, evidenziando che l’adattamento ai cambiamenti climatici non è illimitato. In altre parole occorre agire su più fronti e molto in fretta.
Ma la Cop 27 anzitutto si è svolta in uno stato come l’Egitto che non rispetta i diritti umani e quindi in una sede non idonea, perché, come afferma Naomi Klein “senza libertà politica, non vi è un’azione per il clima che abbia significato”. Infatti è uscita una misera conclusione: si riconosce che per non superare l’obiettivo di 1,5 gradi è necessaria una riduzione delle emissioni del 43% al 2030 rispetto al 2019, ma senza parlare di riduzione delle fonti fossili e senza precisi impegni.
In tal modo il taglio di emissioni sarebbe molto modesto, mentre l’aumento delle temperature si porterebbe oltre i 2,5 gradi. Ma non solo non vi è l’esplicita richiesta di superare le fonti fossili, ma neppure di eliminare gli incentivi che a queste fonti vengono date, in quantità ben superiore rispetto agli incentivi a quelle rinnovabili.
L’unico aspetto positivo del vertice di Sharm el Sheikh è, forse, l’istituzione di un fondo internazionale per risarcire le perdite e i danni subiti dai paesi in via di sviluppo a causa degli effetti avversi dei cambiamenti climatici. Tuttavia non è chiaro nè chi lo finanzierà, nè con quali criteri si individueranno i paesi poveri e finché non vi saranno informazioni più complete sulle risorse di questo fondo non c’è alcuna garanzia sulla sua effettiva entrata in funzione.
Si può dunque capire la delusione del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che ha affermato “il pianeta è ancora in rianimazione: dobbiamo ridurre ora e drasticamente le emissioni e questo è un problema che questa Cop non ha affrontato. Il fondo per le perdite e i danni è essenziale, ma non è una risposta se la crisi climatica cancella dalla mappa un piccolo Stato insulare o trasforma un intero Paese africano nel deserto”.
Per quanto riguarda agricoltura e sicurezza alimentare è stato istituito un gruppo di lavoro congiunto quadriennale, ma, senza abbandonare il sistema produttivo intensivo basato sui fossili e limitando gli interventi a misure di adattamento. In tal modo si lascia mano libera ai giganti dell’agroindustria, senza ridurre le emissioni di gas serra, in particolare quelli diversi dall’anidride carbonica, come il metano, prodotto dai mega allevamenti intensivi.
Purtroppo l’insistenza a favore dell’agricoltura industriale, comporterà non solo un peggioramento del clima ed una riduzione della biodiversità, ma anche l’impossibilità, a fronte dei processi di desertificazione e di siccità, oltre alle guerre in corso, di fornire cibo sufficiente agli oltre nove miliardi di abitanti della Terra intorno al 2050. La Fao prevede che, senza modifiche alla situazione attuale, in quegli anni ci saranno oltre due miliardi di persone che non potranno accedere in quantità adeguata al cibo.
Ancora una volta, di fronte a questi fallimentari e deludenti vertici, dobbiamo insistere sulla necessità di abbandonare l’agricoltura industriale intensiva e di applicare i criteri dell’agroecologia, cioè i principi dell’ecologia applicati all’agricoltura, come oggi avviene per l’agricoltura biologica.