La Genesi biblica inizia con la famosa frase: "In principio Dio creò il cielo e la terra". In "principio" c’è il "principio" cui attenersi, al quale l’uomo deve mirare imitando Dio.
La parola "fine", interpretata in modo apocalittico che ci fa paura o disperare di avere un futuro, è identica alla parole che mettiamo all’inizio di ogni nostro statuto o contratto quando vogliamo indicarne lo scopo, "il fine".
Se vogliamo indagare lo scopo dell’umanità, in tutto questo suo agitarsi e nello sforzo della sua evoluzione verso una sempre maggiore coscienza di sè, domandandoci dove finirà? Ebbene dobbiamo indagare sul principio, qui è indicato il fine: "Creare il cielo e la terra". "Il fine" e "la fine" sono un’identica parola dal significato opposto se le collochiamo all’estremità opposta del tempo. La domanda che, in realtà, dovremmo porci è: "Quanto tempo abbiamo, per raggiungere il nostro fine?".
Una vita, più vite, un’eternità? Per rispondere dobbiamo inevitabilmente mettere in gioco la nostra visione del mondo, la definizione della realtà a cui siamo abituati, a cui crediamo. La quale ci risponderà in modo più o meno drammatico nella misura che il nostro credo sia più materiale o spirituale. Curiosamente, sia che noi crediamo di essere diventati esseri pensanti come risultato casuale dell’evoluzione della materia, sia che riteniamo d’essere discesi dagli angeli e il nostro pensiero è una scintilla divina, non possiamo uscire al di fuori di noi stessi se non attraverso il nostro pensare. Il mondo è ciò che ci rappresentiamo esso sia.
Quindi abbiamo già in noi la potenzialità di creare il cielo e la terra. Ovviamente non è indifferente, per il nostro agire presente, la nostra rappresentazione del mondo, tanto è vero che noi possiamo comprendere le rappresentazioni dei nostri simili, da come agiscono. E’ piuttosto evidente che l’infelicità domina la visione di molti nostri simili, piena di demoni potenti che gli agganciano e strattonano per cui cercano di aggrapparsi a idoli e idoletti che per loro natura si polverizzano, ma più degenerano più devono essere riprodotti.
L’uomo senza "finalità", ha rinunciato alla propria qualità, ha comunque una rappresentazione del mondo, molto spesso indotta da "entità esterne" ed è molto pericoloso per la sopravvivenza dell’aspetto della realtà a cui crede di più, la materia. Alla fine, si spera, anch’esso creerà il suo cielo e la sua terra; per il momento sta provando a distruggerli.