È difficile scrivere un articolo, e un editoriale lo è allo stesso modo, per un mensile. È difficile perché mai come oggi gli avvenimenti si succedono con una rapidità che non ha mai avuto uguali nella storia del mondo.Le guerre sono, e non c’è dubbio, eventi disastrosi, e uno dei risultati è quello, in qualche modo, di resettare la società. Questo nel bene e nel male, dove bene e male sono concetti che, lungi dall’essere assoluti e universali, derivano in toto dalla filosofia di chi la guerra l’ha vinta.
1945: finisce la Seconda Guerra Mondiale e qualche dittatura lascia il posto alla democrazia, quella che, secondo il noto aforisma di Winston Churchill, sarebbe “la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre forme sperimentate finora”. Finisce la dittatura ma non la sua idea e non la sua tentazione.
Oggi, però, tante cose sono cambiate rispetto solo a pochissimi anni fa e, tra queste, anche la maniera di colui che nell’etologia degli animali è il maschio dominante di esercitare la dittatura.
Le costrizioni classiche, quelle che caratterizzano qualunque forma di totalitarismo, rimangono, ma a quelle si è affiancato qualcosa di ben più subdolo e ben più penetrante: la paura. Impaurire la gente è quanto di più facile possa esistere: s’inventa un nemico, lo si agita davanti alla massa, lo si evoca alla Goebbels un milione di volte, martellando incessantemente, e quel nemico diventa qualcosa di reale. E per sconfiggere quel nemico diventato reale si è disposti a tutto, compresa la perdita di ogni dignità. E quale dignità è superiore all’essere liberi?
Ora, nel momento in cui scrivo, in Italia sono entrate in vigore norme che stridono con la legge e con una serie di trattati internazionali che abbiamo entusiasticamente sottoscritto per dimenticarli non appena sono diventati scomodi, norme emanate da un parlamento non eletto da nessuno ma nominato in spregio degli articoli 56 e 58 della Costituzione.
In un paese geograficamente vicino a noi e parte dell’Europa comunitaria com’è l’Ungheria è in atto un colpo di stato: sospensione sine die delle elezioni e pieni poteri al premier che decreta il carcere per chi osa pronunciare una parola contraria alle sue direttive. E l’Europa, ormai un vecchio, bellissimo sogno andato in briciole, assiste senza muovere un dito e senza chiedersi se ci sia davvero bisogno di un paese in condizioni che mortificano la dignità umana di cui l’idea europeista faceva uno dei fondamenti.
Ancora una volta osservando la situazione nel momento in cui scrivo e, dunque, dubitando io stesso della sua tenuta nel tempo, da noi le cose non sono arrivate a quel punto di tragedia ma il patogeno esiste, è ben presente anche nei cervelli e basta un nonnulla per scatenarlo in tutta la sua virulenza. Il terreno è accuratamente preparato da quella che ci ostiniamo a chiamare “informazione”, e la maggior parte degli abitanti di questo paese è convinta che quelli comunicati a raffica, di fatto a reti unificate, siano concetti su cui non si possa dubitare. Ed è altrettanto convinta che tutte le sospensioni della libertà siano misure necessarie per il bene comune. Il concetto di privacy è svanito per consenso quasi plebiscitario e nessuno è più padrone non solo del proprio cervello ma anche del proprio corpo fino ai suoi più banali spostamenti. Qualunque accenno di dissenso o anche soltanto di richiesta di chiarimento numeri alla mano è combattuto fino a soffocarlo.
Ora, in nome del bene comune, siamo al cospetto di un’economia in bancarotta attaccata alle radici. Lo stato elargisce elemosine ma, inevitabilmente, prima o poi dovrà far arrivare qualcosa in cassa, e non ha altra maniera se non tassare chi ha messo in condizione di faticare a fare la spesa quotidiana al supermercato. Con quali denari soddisferà le pretese dello stato io proprio non saprei dire. Ricordo solo che, dopo secoli, nel 1789 il cosiddetto Quarto Stato fece qualcosa di terribile in Francia. Se lo ricordino tutti, e questo non suoni a minaccia ma solo a richiamo storico.