“Tanto… dobbiamo morire”

Ricordo vagamente un film di molti anni fa in cui un gruppo di autori televisivi ideava programmi che poi faceva "assaggiare" ad un bambino di otto anni. Nella finzione scenica la capacità critica di un ragazzino di quell’età rappresentava quella media di una popolazione di teledipendenti. Così, se i programmi erano comprensibili e, soprattutto, piacevano al piccolo collaudatore, si poteva essere certi del successo.

Cambiando apparentemente argomento, da sempre l’arma più efficace per vincere una guerra è quella di fiaccare il nemico e la maniera migliore è quella di catturarne la mente. Basta riandare alle ultime due guerre mondiali per trovare una miriade di esempi, dai manifestini lasciati cadere su Vienna da Gabriele D’Annunzio alle trasmissioni radiofoniche di Radio Londra e, se si mette in relazione il costo dell’operazione con l’effetto ottenuto, credo che non esista azione anche solo avvicinabile per convenienza. Ma ci sono guerre che non prevedono l’avanzata della fanteria o i bombardamenti aerei, guerre in cui non una goccia di sangue viene sparsa, eppure, a dispetto delle apparenze, si tratta di conflitti infinitamente più micidiali di quelli in cui il sangue scorre a fiumi. Nessuna conquista di territori, nessun re che andrà a sostituirne un altro, nessuna religione in cerca di una superiorità rispetto alle altre ottenuta a suon di forse non troppo pii massacri. E allora, per che cosa si combatte? Ma per denaro, perbacco!
Come credo sia ormai arcinoto a chi ha la pazienza di leggere le mie noterelle su questa rivista, una delle maniere inventate da chi ha le mani in pasta per spillare quattrini, e tanti, ai contribuenti che avranno magari i capelli bianchi ma che mantengono la freschezza degli otto anni, è quella di costellare la nostra povera penisola d’impianti cosiddetti "a biomasse": in sostanza inceneritori che dovrebbero bruciare legno vergine e da quella combustione ricavare energia. Sarebbe tutto bellissimo se non si trattasse di una bufala: al di là dei fumi tossici che quei falò inevitabilmente producono perché alla chimica e alla fisica non si comanda, i legni vergini sono rarissimi (io ne ho analizzati non pochi e su legni davvero con le caratteristiche della verginità non ho mai avuto la ventura d’imbattermi) e, allora, così come avviene presso certi reparti di chirurgia plastica specializzati, la verginità si costruisce artificialmente.
Bastano un timbro e una firma al posto giusto e vergini diventano legni d’ogni sorta, non di rado trattati con veleni vari per essere usati industrialmente (mobili, pannelli, cornici…), e vergine diventa l’olio di palma, un prodotto che noi importiamo dall’Estremo Oriente con tutto il suo bel contenuto di pesticidi messi al bando in Occidente da decenni. In questo entusiasmo da riverginizzazione, ecco che non si esita nemmeno a trasformare ope legis i rifiuti in biomassa illibata e un altro miracolo è compiuto. E poi, visto che di rifiuti non se ne producono abbastanza per sfamare quegl’inceneritori, si raggirano i contadini, facendo coltivare loro vegetali destinati alla combustione, roba con un valore aggiunto miserabile e che avrà per unico possibile compratore l’impianto "a biomasse" più vicino, con l’ovvia conseguenza che quel cliente privilegiato potrà stabilire a suo piacimento il prezzo della merce: prendere o lasciare.
Ma di tutto questo che ci dicono i "mezzi d’informazione"? Ma nulla, naturalmente! Eccola la guerra: se chi paga le tasse venisse a conoscenza della truffa, magari comincerebbe a fare storie e, invece, tutto deve filare liscio, dove liscio significa che ognuno di noi sborsa senza un battito di ciglia fior di quattrini per mantenere queste imprese che altrimenti sarebbero improponibili per qualsiasi imprenditore. Tralasciando i danni alla salute che le esalazioni di quei forni provocano, credo sia di qualche interesse sapere che, venendo bruciato, il legno di scarto per fabbricare pannelli di truciolato sta scarseggiando e noi siamo costretti ad importarlo (secondo l’Istat +28,3% in quantità e + 50% in prezzo rispetto al 2009), con aziende che rischiano la chiusura perché non ce la fanno più a reggere. Ma pure i cereali hanno prezzi che vanno in su anche grazie alla riduzione dei territori in cui vengono coltivati a vantaggio delle canne da falò.
E in su va, come è ovvio, il prezzo dell’olio di palma la cui produzione richiede la distruzione giornaliera di chilometri quadrati di foresta equatoriale, incidentalmente impossibile da sostituire per la nostra bizzarra esigenza di respirare ossigeno. Il che pare sia concetto cancellato dalla nozione corrente comune. La tragedia degl’inceneritori "a biomasse" taciuta nella sua connotazione vera e a ben guardare farsesca, però, è solo una goccia nel mare della disinformazione imperante. Un’occhiata, magari anche solo frettolosa, alle trasmissioni delle varie TV nazionali o l’ascolto di Radio RAI a proposito delle centrali nucleari e della loro "assoluta sicurezza" sarà più che sufficiente per rendersi conto del punto cui, con la nostra pigrizia, abbiamo consentito si arrivi. Ascoltando certi tuttologi per tutte le stagioni, l’impressione che ha il fanciullino di otto anni, indipendentemente dall’età anagrafica reale, è di trovarsi di fronte ad una sorta di cornucopia dalla quale scaturisce miracolosamente un ben di Dio che solo un folle potrebbe rifiutare. Peccato, però, che a nessuno di quei profeti venga in mente di riferire dell’impossibilità di liberarsi delle scorie radioattive e, tra l’altro, degl’incidenti giornalieri a carico delle centrali, un centinaio dei quali accadono annualmente nella vicina Francia. Nulla trapela dei fiumi inquinati dalla radioattività che finisce nel mare o, sempre a titolo di esempio, ugualmente nulla passa del disastro ecologico che si sta verificando nel Niger dove, per incuria della ditta francese che gestisce una miniera d’uranio locale, centinaia di migliaia di litri di fanghi radioattivi si disperdono nei terreni e nelle acque. Da notare che quella roba contiene anche metalli pesanti, ad esempio l’arsenico che viene usato per l’estrazione dell’uranio dalla roccia nativa. Laggiù muoiono? Chi se ne frega: prima o poi tocca a tutti, e poi quelli sono negri!
Volendo continuare a spigolare nel mare magnum della disinformazione, il che comprende anche l’informazione non data, si potrebbe fare un salto in Sardegna, intorno al poligono militare del Salto di Quirra, per vedere come i tumori, specie le leucemie, stiano andando alle stelle sia tra gli uomini sia tra gli animali. Chi di voi ne ha sentito parlare? E quei pochi, quanta informazione hanno sulla catastrofe nelle sue dimensioni reali? E potrei continuare per molte pagine, ma me ne rendo conto: la tentazione di alzare le braccia e pronunciare la frase del saggio da osteria "tanto dobbiamo morire" diventa ogni giorno più forte, ma dove è scritto che si debba morire così crudelmente per riempire tasche già piene?

(Biolcalenda Febbraio 2011)


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