Credo che tutti ricordino l’11 settembre 2001: due degli edifici più alti del mondo vengono attraversati da altrettanti aerei e crollano trascinando con loro chi in quel momento ci stava dentro e pure qualcuno che si trovava nelle vicinanze.
Insieme con le persone, la caduta si trascinò appresso anche tutto quanto era contenuto in quelle due torri di Babele che portavano nella pancia le cose "preziose" ed "irrinunciabili" dell’uomo a cavallo tra i due millenni: dai lingotti d’oro ai computer. In più c’erano gli arerei letteralmente volatilizzati. E, ancora in aggiunta, c’erano i materiali da costruzione, amianto compreso: lo stesso amianto di cui per decenni la scienza – la scienza vera, intendo – aveva denunciato la cancerogenicità e di cui, per altrettanti decenni, la cialtroneria di industriali, di sedicenti scienziati in affitto al migliore offerente e di quelli che noi ci ostiniamo a chiamare politici aveva affermato l’innocenza.
Insomma, c’era di tutto e dal punto di vista chimico, in quello che risultò dal crollo credo sarebbe stato difficile individuare l’assenza anche di uno solo dei 92 elementi naturali della tavola periodica.
Così, si solleva una nuvola mastodontica di polvere, una polvere bianca finissima che ricopre in un battibaleno tutto e tutti facendo la felicità dei fotografi sempre più ingolositi dalle inquadrature offerte dalle persone che vagolano completamente imbiancate, come sinistri pupazzi di neve capaci di camminare.
Tanta polvere: un miliardo e ottocento milioni di tonnellate sono le cifre che ora vengono comunicate. Tanta polvere che per mesi è calata dovunque, sulle strade, sulle panchine, sui davanzali, dentro i condizionatori d’aria che sono una delle manie degli americani e che concentravano quella roba all’interno delle abitazioni.
Qualunque persona di buon senso, indipendentemente dalla sua cultura generale e della sua cultura scientifica in particolare si sarebbe allarmata di fronte a quella nuvola. E, forse, allarme ci fu pure. Ma ci pensò l’EPA, l’ente di protezione ambientale americano a dissolvere la paura. Tranquilli: non è successo niente.
Così andarono allo sbaraglio i soccorritori, i curiosi e, in fondo, chiunque abitasse in un raggio di diversi chilometri dal luogo del disastro. Nessun filtro per il respiro, nessun indumento protettivo, addirittura cibo consumato regolarmente sotto quella nevicata ormai non più percepibile dagli occhi. Le polveri che galleggiavano e che probabilmente pur molto più diluite, ancora galleggiano in quell’aria, erano ormai solo quelle ultrafini, non rilevabili ai cinque sensi, e le più penetranti in assoluto.
Eppure, nulla. L’ordine era di non allarmare la gente. E fu così che le patologie da polvere cominciarono a manifestarsi: prima quelle grossolane come la tosse o, magari, qualche manifestazione allergica, poi qualcosa di infinitamente più grave. Chi ha visto i pompieri di New York ammalati di stanchezza cronica, una patologia invalidante, sa di che cosa parlo. E il diabete sta assumendo proporzioni inaspettate. Il diabete perché quelle polveri sono, per usare un’espressione cara agli americani, "endocrine disruptors", cioè vanno ad interferire negativamente sulla funzionalità ghiandolare.
Le malattie cardiovascolari? I cancri? Nemmeno quelle malattie mancano. Quanti sono i malati di quelle che noi chiamiamo nanopatologie, vale a dire le malattie da micro e nanopolveri? Chissà: nessuno ha fatto le stime. Non bisogna allarmare.
Che c’entra tutto questo con noi?
Un po’ c’entra. Da noi chi mette in guardia contro un determinato rischio è automaticamente definito "terrorista", come se il terrorista fosse chi avverte che c’è una bomba e non chi quella bomba ha sistemato per scoppiare. Una distorsione, certo, ma nella nostra società plastificata l’importante è non essere turbati, è vivere in una sorta di continuo stato di atarassia e, magari, di quello che i medici chiamano stupor.
Comunque sia, non ci deve essere alcuna percezione del rischio. Esempio vistoso di tutto questo si può raccogliere in Abruzzo.
Conseguenza del terremoto è stato il crollo delle opere murarie e, da lì, la polvere. Tanta. Non quanta ce n’era a New York, forse, né altrettanto fine. Ma polvere ce n’era davvero in enorme quantità e ancora ce n’è e ancora ce ne sarà chissà per quanto. Tuttavia abbiamo visto ben poche persone, comunque fossero impiegate, usare le protezioni e le precauzioni che sono indispensabili in casi come quello. Né abbiamo sentito di indagini condotte dagli enti preposti alla salvaguardia della nostra salute che c’informassero di quanta polvere c’è, di quanto siano grandi quei granelli, di che forma abbiano e di quali composizioni parliamo.
Per me che mi occupo di nanopatologie la domanda ovvia è "perché?" Perché chi ha la responsabilità di quella che chiamiamo "protezione civile" non ha mosso un dito in quella direzione? Il che suona ancora più curioso, trattandosi nel caso particolare di un medico, ché tale è Guido Bertolaso. E gli alimenti? Come sono ridotti?
Vogliamo ritornare alla vergogna di un paio d’anni fa quando una nuvola nera proveniente dall’incendio della De’Longhi ricoprì Treviso e fu dichiarata ufficialmente pulita?
(Biolcalenda – Giugno 09)