In risposta alle solite critiche… Negli ultimi decenni l’uomo ha manifestato nel rapporto con l’ambiente un approccio invasivo e decisamente impattante arrivando ad eliminare tutto ciò che non è considerato produttivo in termini economici o in qualche modo remunerativo.
Vengono meno determinati ambienti e contesti in grado di ospitare e sostenere varie forme di vita vegetale, animale e microbica (ognuna con la propria funzione).
Questo tipo di approccio ha generato una semplificazione ed una banalizzazione del paesaggio con ricadute negative su biodiversità ed equilibrio dell’ecosistema. Di fronte a questa distruzione deliberata e consapevole dei vari habitat naturali (definita specializzazione) la natura non resta a guardare e ripaga l’uomo con la stessa moneta attraverso la propagazione di specie invasive. La pluralità di specie che un tempo caratterizzava gli habitat naturali (ed anche gli agroecosistemi complessi) è venuta meno a favore di un numero ridotto di specie che, per vari motivi, sono divenute altamente invasive. Questo dato riguarda specie animali, flora e insetti.
PROTEGGERE LA BIODIVERSITÀ SIGNIFICA PROTEGGERE L’HABITAT
L’eccessiva semplificazione dell’ambiente agrario ne determina una maggiore vulnerabilità, ed è per questo motivo che in agricoltura biodinamica si parla di “organismo agricolo” come principio di fondo per favorire complessità ed equilibrio lì dove si è operato per decenni per omologare, semplificare e squilibrare i fattori naturali. Ma l’uniformità diventa la condizione per il “successo” e l’affermazione dell’agricoltura industriale, ed è questa stessa impostazione una delle cause dell’attuale crisi in cui versa la moderna agricoltura. Nonostante i numerosi appelli per la salvaguardia e la tutela della biodiversità, in molte aree del Paese viene ancora applicato (purtroppo) un modello di produzione agricola di tipo industriale con largo uso (tra l’altro) di agenti chimici di sintesi. Soprattutto in Pianura Padana questo tipo di impostazione è ancora molto evidente.
Uno dei fattori che negli ultimi anni ha contribuito alla proliferazione di specie invasive è senza dubbio la globalizzazione. La globalizzazione spinta ai massimi livelli sta favorendo sempre più la comparsa di nuove specie invasive definite esotiche o aliene (o alloctone invasive) per via della provenienza da altre regioni del Pianeta.
La propagazione di queste specie di fatto sta creando non pochi problemi in agricoltura, oltre ad avere ripercussioni negative anche sulla naturale biodiversità del nostro Paese. A questi fattori poi si aggiunge anche un inarrestabile e sempre più intenso processo di antropizzazione che non tiene conto dei limiti naturali o delle leggi biologiche che regolano l’ecosistema.
Tutto ciò sta innescando un processo di erosione della biodiversità su scala planetaria, con la comunità scientifica internazionale che ormai parla apertamente di una possibile “sesta estinzione di massa” poiché entro pochi decenni (avanti di questo passo) il 75% delle specie viventi scomparirà dalla Terra. Per questi ed altri motivi oggi la comunità scientifica internazionale parla di una nuova era geologica definita “Antropocene” poiché le attività umane stanno mutando in modo significativo gli ecosistemi, il clima e la struttura dei territori.
Con questo quadro c’è ancora chi ha il tempo e la voglia di criticare l’agricoltura biodinamica perché ritenuta antiscientifica (critiche erronee e tendenziose). Ma il vero paradosso è che, scientificamente, stiamo distruggendo la natura.
Lo confermano ricerche di vario genere, tra le quali spicca uno studio dell’Università di Exeter dal quale è emerso che le acque dei torrenti di diverse nazioni europee presentano concentrazioni inquietanti di agenti chimici nocivi utilizzati proprio in agricoltura (https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0048969719311969).
Mentre uno studio di lungo corso tra i più rilevanti svolto dall’Istituto Elvetico di Ricerca sull’Agricoltura Biologica (FiBL) ha messo in evidenza quelli che sono i vantaggi offerti dall’agricoltura biodinamica proprio in termini di biodiversità (con particolare riferimento al suolo). Il FiBL è uno dei principali istituti di ricerca a livello mondiale.
(https://www.fibl.org/en/themes/projectdatabase/projectitem/project/404.html)
(https://www.biodynamics.com/category/research-127).
Invece di dare vita a certe critiche, soffermandosi solo su alcuni dettagli, si dovrebbero mettere a confronto i vari modelli agricoli nei loro insiemi svolgendo valutazioni di carattere complessivo. Anche i rapporti periodici dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) evidenziano purtroppo diverse criticità ambientali dovute alla contaminazione da agenti chimici di varia natura e, non ultimo, all’erosione del suolo ed alla diminuzione di carbonio organico nei terreni. Dunque da un lato abbiamo le pratiche chimico-industriali che nel tempo hanno contribuito a determinare questi fenomeni, mentre dall’altro lato abbiamo modelli (come l’agricoltura biodinamica) che tutelano e salvaguardano paesaggio e risorse ambientali.
Cosa vogliamo scegliere?
Chi ancora critica l’agricoltura biodinamica forse non sa, tra l’altro, che vi è un consenso sempre maggiore, diffuso e generalizzato, con l’aumento costante di richiesta per i prodotti biodinamici. Dunque al di là dell’opinione dei singoli vi è una base sempre più ampia che riconosce i benefici in termini di qualità del prodotto e ricadute positive sulla tutela dell’ambiente.
Questa base manifesta il proprio consenso attraverso la richiesta di determinati prodotti e lo stesso mercato si è già attivato di conseguenza. Questa richiesta di materie prime biodinamiche è in forte aumento soprattutto all’estero, in particolare nei Paesi dell’Europa centro-settentrionale, dove vi è una pubblica opinione particolarmente sensibile alle tematiche ambientali.
A volte viene da chiedersi anche perché i media e gli organi di informazione diano ancora ampio spazio alle (solite) critiche rivolte all’agricoltura biodinamica dimenticandosi poi delle questioni più gravi e importanti di natura ambientale ed ecologica, valutando poi quelle che sono le ricadute per una scelta o per l’altra. Forse ci si dovrebbe indignare di fronte al fatto che per decenni si è sostenuta e finanziata un’agricoltura responsabile di inquinamento, desertificazione e riduzione della biodiversità. Questo è il punto.
Mentre in paesi come la Svizzera, ad esempio, invece di biasimare questa o quella agricoltura sulla base di impressioni personali ci si è adoperati per confrontare e valutare correttamente effetti e ricadute dei vari modelli di produzione attraverso analisi comparative e misurazioni varie.
Questa è VERA scienza, non l’opinione dei singoli. Un approccio veramente scientifico non giudica prima di effettuare indagini, verifiche ed esami. Andare più a fondo nel processo di valutazione, senza fermarsi a considerazioni superficiali.
Sarebbe alquanto doveroso riportare, tra l’altro, le esperienze dirette ed i risultati degli agricoltori biodinamici attivi in Italia e nel Mondo.