Nulla si crea, nulla si distrugge

Pare essere destino che io non possa trattare argomenti piacevoli ma, ahimé, il filone di ricerca nel quale è capitato che io cascassi mi porta inevitabilmente ad essere un po’ pesante.

Già ho descritto in precedenza come tutte le combustioni, nessuna esclusa, provochino la formazione di sostanze inquinanti sia sotto forma gassosa sia sotto forma di polveri, ed è delle polveri che io mi occupo.
Una regola generale è che maggiore è la temperatura alla quale si brucia, più piccola è la dimensione delle particelle solide che escono, e più piccola è questa dimensione, più facilmente questi oggettini sono capaci di entrare nel nostro organismo. Va tenuto assolutamente conto, a questo proposito, del cosiddetto "principio di conservazione della massa", una regola ferrea di funzionamento dell’universo che, in soldoni, può essere enunciata come "nulla si crea, tutto si trasforma e nulla si distrugge".
Dunque, la quantità di materia in gioco in qualsiasi reazione chimica resta invariata, qualunque cosa decidiamo di fare: tanto entra ed altrettanto esce.
Potrà sembrare bizzarro, ma con la materia di cui è costituita una particella da 10 millesimi di millimetro di diametro e chiamata erroneamente "polvere sottile" (ma tecnicamente si tratta di polvere grossolana) si possa fare la bellezza di un milione di particelle di diametro 0,1 millesimi di millimetro. Bizzarro, ma ineccepibile dal punto di vista geometrico.

Digerito il concetto, risulta chiaro che, se alzo la temperatura di combustione come si fa negl’inceneritori moderni e riduco di conseguenza la dimensione delle polveri, otterrò la moltiplicazione smisurata del loro numero. Dunque, parallelamente aumenterò a dismisura la loro capacità di penetrazione e, ancora di conseguenza, la loro capacità d’indurre malattia.
Una delle fonti più ragguardevoli e più note di polveri (sottili per gli amministratori pubblici ma grossolane per gli scienziati) sono i motori a scoppio e, più in particolare, i motori a ciclo Diesel. Un bel problema per le nostre città intasate di traffico, con l’Italia che è in testa alle classifiche mondiali che valutano il numero di automobili per abitante.

Che cosa dice la legge? Senza voler entrare in particolari tecnici e semplificando molto, accontentiamoci di dire che la legge valuta l’inquinamento da polveri prendendo un metro cubo di aria, togliendo tutte le polveri che superano per diametro i 10 micron (un micron è un millesimo di millimetro) e pesando quelle che restano che altro non sono se non le famose PM10. Questo peso, restando alle leggi in vigore oggi, non può superare i 40 microgrammi – dove un microgrammo è un milionesimo di grammo – con la possibilità di sforare fino a 50 microgrammi per 35 volte l’anno.
È chiaro, allora, che la legge non tiene conto della geometria e della patologia, dato che i 40 microgrammi possono essere indifferentemente costituiti tutti da particelle grosse da 10 micron o da particelle molto più minuscole, perché è solo il peso totale che questa considera e non si cura di numero e dimensioni. Ma noi sappiamo che, per quanto concerne la salute, corre una bella differenza tra polvere grossa e polvere fine, con l’aggravante che le polveri fini sono incomparabilmente più numerose.

Qualcuno dei miei lettori conoscerà di certo i filtri attivi antiparticolato, quelli chiamati comunemente FAP che, stando alla pubblicità dei costruttori, eliminano le polveri provenienti dagli scarichi dei motori Diesel.
Ancora una volta semplificando, come funzionano questi sistemi?

Lungo il tubo di scarico si piazza il filtro vero e proprio, grosso e pesante com’è, ma questo non sarebbe in grado di acchiappare le polveri, per grosse che siano, se non venisse fatta arrivare al suo interno una sostanza chimica (l’inventore usa ossido di cerio, mentre chi lo ha in qualche modo imitato usa altri prodotti) che quelle polveri le fa agglomerare. Così trattate, le particelle appiccicate l’una all’altra in agglomerati abbastanza corposi vengono in effetti catturate dal filtro e, dunque, in apparenza il risultato è conseguito.
Come è ovvio, però, dopo poche centinaia di chilometri il filtro è del tutto intasato e, se si vuole continuare ad usare l’auto, occorre ripulirlo.
A questo punto, il sistema sente quando ci si trova in un ambiente extracittadino (velocità relativamente alta per un tempo relativamente lungo) e sminuzza le particelle che stanno nel filtro fino a trasformarle in nanoparticelle abbastanza fini da uscire senza difficoltà dal filtro per essere immesse nell’ambiente di nuovo.
Dunque, non un grammo di polveri è stato sottratto all’ambiente ma ci si è limitati a spezzare corpi grossi trasformandoli in tantissimi corpi piccoli.

Se è chiaro quello che ho scritto a proposito della capacità delle polveri piccole d’innescare malattie, qualcuno dovrà per forza porsi qualche domanda. Se, poi, aggiungiamo che le auto con il filtro consumano più carburate e, dunque, producono più polveri, aggiungono un inquinante all’ambiente (l’ossido di cerio, per esempio) e nessuno sa come riciclare i filtri una volta non più funzionanti, il cerchio si chiude.

(Biolcalenda Aprile 2009)


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